Il crac della Silicon Valley può ridurre il rialzo dei tassi della Bce?
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AperturaMercati Mar 14 marzo 2023

Il crac della Silicon Valley può ridurre le strette della Bce. Parola degli analisti

Per Michele Morra, Moneyfarm, è possibile che Francoforte riduca allo 0,25% il rialzo di giovedì. Più cauti Intermonte e Barclays Il crac della Silicon Valley può ridurre le strette della Bce. Parola degli analisti
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Il rialzo dei tassi della Bce dopo le banche americane

Che il crac della Silicon Valey Bank possa avere come effetto involontario quello di far cambiare la politica monetaria della Banca Centrale Europea? O, messa in modo diverso, è possibile che il crollo dell’istituto californiano delle start up tecnologiche che per adesso sta affondando più le Borse del Vecchio Continente che quelle americane possa costringere Francoforte a fare un passo indietro rispetto al rialzo previso nell’ordine del mezzo punto per giovedì 16 marzo e alle future strette preannunciate da Christine Lagarde?

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Sul punto economisti e analisti interpellati da Verità&Affari si dividono, la premessa comune però resta quella strategica. Anche se la Bce dovesse invertire la rotta sarebbe una scelta dettata dalla necessità di seguire le messe della Fed e dalla paura di effetti catastrofici sulla crescita più che da un mea culpa o una nuova consapevolezza sulle scelte di politica economica per combattere l’inflazione.

La salvaguardia del sistema

“Riteniamo – spiega Michele Morra, Portfolio Manager di Moneyfarm – che la questione Silicon Valley Bank possa avere conseguenze dirette sulla politica monetaria della Bce. Nonostante la tempestiva azione della Fed nel rassicurare i mercati, la reazione dei listini lascia presagire la possibilità di un rilassamento della politica monetaria. Le aspettative per i prossimi rialzi dei tassi sono già state riviste sensibilmente al ribasso dai mercati, sia negli Usa – con un tasso terminale Fed atteso che è passato dal 5.7% al 4.8% – sia nell’Eurozona, dove per giovedì gli operatori si aspettano un rialzo più vicino allo 0.25% che allo 0.50% previsto giovedì scorso. I mercati sembrano in qualche modo scommettere che la salvaguardia del sistema finanziario sarà per le Banche Centrali più importante del target d’inflazione al 2%, che ricordiamo essere ancora ben lontano dall’8.5% di febbraio”.

Prima la Fed

Gli esperti di Barclays sono, invece, meno convinti che quanto succede in California possa avere un impatto sulla decisione di giovedì di Francoforte. “È ancora probabile che la Bce aumenti tutti i tassi ufficiali di 50 punti base il 16 marzo, ma gli sviluppi negli Stati Uniti probabilmente rafforzeranno il suo approccio riunione per riunione… Ora non ci aspettiamo alcun segnale sul ritmo degli aumenti oltre marzo”. Diverso il discorso sul medio termine.

“La facility che consentirà a banche in difficoltà di finanziarsi fino ad un anno al relativo tasso a breve più 10 punti base risolve i problemi immediati delle banche in difficoltà ma non cambia il problema economico in un lasso temporale più esteso”, commenta Christian Prinoth, Chief Investment Officer, Quaestio SGR.

“Con un portafoglio titoli costruito prevalentemente prima degli aumenti – continua -, queste banche dovranno pagare il livello corrente dei tassi, decisamente più elevato dovendo operare in un contesto di rinnovate pressioni sulla redditività degli stessi istituti”. Secondo Prinoth nell’immediato le banche europee sembrano non interessate dalla questione ma è evidente che prima o poi questo nodo verrà al pettine.

I mercati indicano la rotta

A un certo punto – come spiega il Chief Global Strategist di Intermonte Antonio Cesarano – sono i mercati che indicano quale rotta prendere. “In questo contesto – spiega – i mercati probabilmente tenderanno a forzare la mano alle banche centrali, Fed in testa, affinché fermino le manovre restrittive e le invertano presto, generando un marcato steepening in contesto di calo dei tassi più pronunciato sul segmento a breve termine.

La Fed, pertanto, in prospettiva potrebbe essere la prima banca centrale a fermare la sua politica restrittiva, prendendo atto che andare oltre comporta eccessivi rischi di stabilità finanziaria come dimostrato dal caso SVB… La Bce, invece, potrebbe seguire in ritardo le decisioni Fed (anche perché è partita in ritardo con le manovre restrittive) alle prese con l’inflazione core che potrebbe necessitare ancora di qualche mese prima di dare segnali di calo”.

A gelare le speranze ci ha pensato però la politica. Interpellato sul tema il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, ha chiarito che “le imminenti decisioni della Bce siano ampiamente note”, mentre in futuro “le scelte nelle prossime riunioni saranno prese sulla base dei dati”. Come a dire: per giovedì il rialzo resterà di mezzo punto, poi si vedrà. 

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