Il dollaro ci porta alla recessione, quando ci costa un'euro debole
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Da non perdereMercati Gio 14 luglio 2022

Il super dollaro ci spinge verso la recessione, quando ci costa avere un'euro debole

Il super dollaro costerà a ogni famiglia italiana trecento euro l’anno in termini di minore potere d’acquisto. Il super dollaro ci spinge verso la recessione, quando ci costa avere un'euro debole
Nino Sunseri
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Nino Sunseri

Giornalista economico finanziario da oltre 50 anni, ha cominciato nel 1974 al Giornale di Sicilia. Ha lavorato rivestendo ruoli di caposervizio e inviato per il Corriere della Sera, La Repubblica e Libero.

Cosa succede con il dollaro forte

Il super dollaro costerà a ogni famiglia italiana trecento euro l’anno in termini di minore potere d’acquisto e taglierà il reddito disponibile di almeno duemila euro (circa un mese di stipendio). La stima viene da Paolo Mameli, economista dell’Ufficio studi di Banca Intesa. «La rivalutazione della moneta Usa – spiega – inciderà sul costo delle materie prime solitamente quotate in dollari: aumenterà il conto già salato che consumatori e aziende pagano per l’energia».

Gli effetti del dollaro sulle esportazioni

Il quadro migliora per le imprese attività che hanno una forte propensione all’export: «Le imprese che esportano verso i Paesi dell’area dollaro, o verso quelli i cui tassi di cambio sono ancorati alla moneta Usa godranno di maggiore competitività e dunque vedranno crescere nel tempo, a parità di altri fattori, profitti, produzione e investimenti».

Il vantaggio è stimato dall’economista di Banca Intesa in 50 miliardi grazie soprattutto alle vendite in Usa già cresciute del 42% rispetto a un anno fa. Secondo l’Ufficio studi della banca il rapporto fra vantaggi e svantaggi dovrebbe dare alla fine un saldo positivo con un impatto sulla crescita del Pil di +0,2% sul 2022 e di +0,3% sul 2023.

Gli esperti sul dollaro

«Tuttavia – aggiunge Mameli – in questa fase i modelli potrebbero sottostimare l’impatto dell’aumento prezzi visto che il deprezzamento del cambio interviene (esacerbandolo) su un ampio shock inflazionistico preesistente». Alla fine il risultato potrebbe essere negativo su tutta la linea visto che anche l’export per produrre deve prima pagare il super-costo dell’energia. «Anche in caso di effetto nullo sulla crescita del Pil nel suo complesso, vi sarebbero importanti impatti redistributivi, dalle famiglie alle aziende e, all’interno del mondo delle imprese, da quelle importatrici a quelle esportatrici» conclude Mameli.

Pessimista Ben Laidler , global market Analyst eToro.«Se l’euro rompe la parità di uno a uno sul dollaro – dice – è probabile che si muova significativamente al ribasso Una moneta più debole metterà sotto pressione i partner commerciali più vicini, dal franco svizzero alla corona svedese e allo zloty polacco». Più in generale, l’euro in calo è percepito come un fattore di rischio che finirà per favorire la recessione. «Questi rischi hanno un impatto particolare anche su altre valute sensibili dal punto di vista economico, come il dollaro australiano e canadese». conclude.

Il pessimismo sull’euro

Il pessimismo traspare dalle indiscrezioni che precedono la pubblicazione dei dati Eurostat sul Pil europeo. Dice il vicepresidente Valdis Dombrovskis, ex primo ministro lettone. «Ci si può aspettare una revisione al ribasso quest’anno e ancora di più per il prossimo anno perchè ci sono molte incertezze e rischi, l’inflazione continua a sorprendere per il suo rialzo».

I mercati tremano -0,93% Milano, -1,16% Francoforte, -0,7% Londra e -0,7% Parigi. I flussi di capitale, infatti, si stanno indirizzando verso una sola destinazione: Wall Street. Magari non in Borsa visto che il calo degli utili è considerato ormai scontato. Casomai verso i Treasury a dieci. Rendono circa il 3% e per i capitali Usa è un investimento sicuro. Molto di più dei nostri Btp (3,1%) che però espongono anche al rischio di cambio. Per non parlare dei Bund fermi all’1,14%.

Ma sono anche i capitali europei a cercare rifugio in Usa. Ai rendimenti dei titoli di Stato Usa possono aggiungere i vantaggi del cambio. La Fed aumenterà la prossima settimana i tassi dello 0,75% per fermare un’inflazione galoppante. La Bce dovrà essere più prudente per non aggravare la recessione. Forse il 21 luglio non farà nulla accentando la debolezza dell’euro.

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