Tra fisco e burocrazia ecco perché tanti snobbano Piazza Affari
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In evidenzaMercati Lun 08 agosto 2022

Tra fisco e burocrazia ecco perché tanti gruppi snobbano Piazza Affari

Un 2022 sicuramente non positivo, soprattutto per Piazza Affari. Dopo gli annunci di delisting di nomi importanti. Tra fisco e burocrazia ecco perché tanti gruppi snobbano Piazza Affari
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

Perchè le società lasciano la Borsa di Milano

Un 2022 sicuramente non positivo, soprattutto per Piazza Affari. Dopo gli annunci di delisting di nomi importanti quali Exor, Atlantia, Autogrill, AS Roma si aggiunge al club Tod’s. Nel 2022 già nove sono le società che hanno abbandonato il mercato italiano: Cerved, Energica Motor Company, Siti – B&T, Sirio, Vetrya, Banca Intermobiliare, Tas, Falck Renewables e La Doria, a fronte tuttavia di tredici nuove immissioni.

Le motivazioni per il delisting vedono ciascuna una diversa motivazione ma di fatto si possono riassumere in prezzi economici, ricerca di una governance più leggera, assenza di movimenti non correlati alla propria attività e alternative più attraenti. Generalmente, infatti, quando i prezzi scendono i delisting salgono. Il calo azionario offre agli imprenditori opportunità di varare piani di riacquisto di azioni proprio o, in alternativa, di ritirare le società dal mercato. I bassi prezzi delle azioni rendono attraenti le acquisizioni, mentre le piccole aziende controllate dalle famiglie fondatrici possono ora valutare il riacquisto di azioni a meno di quanto valessero pochi anni prima, evitando soprattutto ingerenze esterne e gli alti costi di quotazione.

Andando ad osservare le evoluzioni di Borsa Italiana dal 1995 al 30 giugno 2022 osserviamo un deciso decennio positivo con nuove quotazioni che hanno superato i titoli in uscita. Esodo che diviene soprattutto evidente nei periodi di recessioni, fatto salvo per quello legato al Covid, vista la sua breve durata.

Il caso Twitter

Situazione che non deve essere etichettata come qualcosa di italiano, ma presente anche a livello globale. Solamente pochi mesi fa gli investitori mondiali erano tutti focalizzati sulla vicenda Twitter, con la possibile acquisizione di Elon Musk e del suo possibile delisting. Ad oggi, dati Stock Analysis, circa 236 società statunitensi hanno deciso di uscire dalle quotazioni ufficiali a fronte di circa 185 nuove quotazioni.

Come possiamo osservare, fatto salvo il boom dell’ultimo periodo – guidato principalmente da nuove “quotazione alternative” (SPAC) – abbiamo assistito ad un ribasso di lungo periodo delle società statunitensi quotate determinato dall’aumento del private equity (le società potevano rimanere private più a lungo), dagli elevati costi di quotazione e dai requisiti di rendicontazione (un disincentivo alla quotazione) nonché dai bassi tassi di interesse (disponibilità di capitale).

Cultura finanziaria

In Italia vi è ancora una bassa cultura finanziaria. Molte società nel Belpaese sono di piccole e medie dimensioni e faticano ad ambientarsi tra richieste di pubblicazioni e di roadshow per informare e persuadere gli investitori della validità delle proprie strategie di business. La poca attrazione per i titoli nazionali è anche dettata dalla scarsa fiducia nell’economia nazionale. Un sondaggio di eToro ha rivelato che il 66% dei retail investors italiani non si sente ottimista rispetto all’economia nazionale, e uno su quattro non intende investire in azioni quotate su Piazza Affari.

Il listino italiano, inoltre, fatica ad attrarre e far rimanere soprattutto le maggiori società. Si veda ad esempio la decisione di Ermenegildo Zegna di quotarsi a Wall Street o quella simile di Prada ad Hong Kong. Inoltre, le migliori condizioni fiscale e giuridiche su borse estere spingono le società a trasferire la propria sede legale all’estero, vedi Campari, Cementir, Cnh Industrial, Exor, Mediaset e Stellantis, con il rischio poi di un successivo abbandono del listino italiano.

Bene, ma non esaustiva, la decisione, presa con la Legge di Bilancio 2022, che ha confermato la concessione di un credito di imposta del 50% fino ad un importo massimo nella misura di 200.000 euro per costi di consulenza finalizzati alla quotazione in Borsa delle Pmi italiane, se sostenuti entro il 31 dicembre 2022.

Gabriel Debach

Strategist di eToro

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