Tariffe più care per la rete, ma il titolo perde il 4% in Borsa - V&A
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MercatiPrimo piano Ven 17 marzo 2023

Tariffe più care per accedere alla rete Tim, ma il titolo perde il 4%

Aumentano i prezzi che gli altri operatori pagano all'ex monopolista per il passaggio sull'infrastruttura in rame. Eppure l'azione crolla Tariffe più care per accedere alla rete Tim, ma il titolo perde il 4%
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Il provvedimento Agcom

Sulla carta il provvedimento con il quale l’Agcom aumentato le tariffe di accesso delle altre compagnie alla rete in rame di Tim è una di quelle notizie che avrebbe dovuto trascinare le quotazioni dell’ex monopolista della telefonia. Eppure ieri il titolo Telecom ha chiuso una seduta in profondo rosso lasciando sul terreno circa il 4,20% a quota 0,2827 euro. Come mai? E’ vero che l’incremento è stato ridotto al 60% rispetto alla proposta in consultazione, ma comunque già nel 2023 ci sarà un incremento consistente dei prezzi nonostante le proteste degli altri operatori. Insomma, la rete acquista valore e non era per nulla scontato.  

Tant’è che i concorrenti sono in fermento. Crescono infatti le tariffe per l’accesso in rame e diminuiscono quelle  per la fibra con il chiaro obiettivo di spingere la migrazione verso le infrastrutture di nuova generazione. Secondo gli altri operatori però in questo modo si fanno gli interessi economici di Tim visto che sul 60% del territorio nazionale non esiste la doppia infrastruttura rame-fibra.

Che succede a Piazza Affari

Tornando alla Borsa, probabilmente, le motivazioni del crollo a Piazza Affari vanno ricercate altrove. E possono essere individuate nelle difficoltà del processo messo in atto per vendere la rete più Sparkle e Fibercop. Sul piatto, come ormai arcinoto, ci sono due offerte che economicamente si equivalgono valutando l’infrastruttura circa 20 miliardi di euro. Sia il fondo di private equity Kkr che la cordata Cdp-Macquarie sono però ben lontani dalle richieste di Vivendi. La forbice che era già notevole – va ricordato che il primo azionista ha sempre parlato di 31 miliardi – è diventata ancora più grande. Le nuove tariffe, infatti, aggiungono altro valore alla rete e da qui al 18 aprile (termine ultimo per ritoccare le offerte) Kkr e Cdp dovranno alzare l’asticella di un bel po’ se vorranno ottenere il via libera all’esclusiva da parte del consiglio di amministrazione di Tim.

La posizione di Vivendi

Sul Cda, inoltre, continua a soffiare il fiato sul collo del colosso dei media francese che non ha preso bene la decisione di prolungare dal 31 marzo al 18 aprile il termine ultimo per i rilanci. Secondo De Puyfontaine e gli altri manager francesi le due offerte non si avvicineranno mai alle loro richieste, insomma si starebbe solo perdendo tempo. 

Se è davvero così lo sapremo a breve. Ma l’esempio di scuola potrebbe essere quello di una compravendita immobiliare. Se io voglio acquistare una casa che vale 31 miliardi – la racconta così chi è pronto a scommettere su un rilancio – non farò mai la prima offerta pari alla richiesta, ma proverò ad avvicinarmi man mano a un possibile punto di equilibrio. E’ una trattativa e come tale va considerata. Sarà lunga, anche perché al 18 aprile manca un mese.

I margini di rilancio

Il problema è che in questa trattativa la base di partenza sembra molto lontana rispetto alle valutazioni del venditore e che si fa fatica a capire fino a che punto possano arrivare i margini di rilancio. Difficile che Cassa Depositi e Prestiti abbia molte munizioni da sparare, probabile invece che la strategia di Kkr fosse già a due tappe. Ma fino a che punto possa arrivare il fondo americano non è semplice dirlo. Anche perché entrambe le offerte si portano dietro dei grandi punti di domanda: a livello antitrust quella di Cdp e sul punto del golden power l’offerta del private equity americano. 

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