Che botta per Putin, al maxi vertice Cina e India lo lasciano da solo
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Da non perdereMondo Mar 20 settembre 2022

Che botta per Putin, al maxi vertice Pechino e India lo lasciano da solo

Il presidente russo, Vladimir Putin, costretto a cambiare percorso recandosi per il faccia a faccia con Xi Jinping in un hotel. Che botta per Putin, al maxi vertice Pechino e India lo lasciano da solo
Franco Bechis
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Franco Bechis

Il vertice in Uzbekistan

Quando il 15 settembre il presidente cinese Xi Jinping è atterrato a Samarcanda, lo hanno portato subito lungo il viale della Via della Seta nel centro turistico della città nel palazzo uzbeko dove era in calendario l’incontro annuale dello Sco, la Shangai Cooperation Organisation che unisce soprattutto commercialmente Cina, India, Russia, Pakistan, Turchia, Iran e molte repubbliche asiatiche ex sovietiche, a cominciare dall’ospitante. Bisognava fare la foto di rito fra i capi dei principali paesi, e poi quella con tutti e pazientemente il presidente cinese si è piegato al protocollo. D’altra parte nelle impressionanti misure di sicurezza che hanno svuotato di fatto il centro di Samarcanda avevano avuto gran parte gli stessi servizi cinesi nei giorni precedenti. Hanno dettato legge su quasi tutto. Ma non proprio tutto.

Quando Xi Jinping è entrato nel palazzo dove lo attendeva per il saluto il presidente uzbeko, Shavkat Mirziyoyev, gli è bastato uno sguardo per rendersi conto di cosa mancava: un rigido protocollo di sicurezza anti-Covid che in Cina impera ovunque (ora anche rafforzato, visto che nelle stesse ore all’aeroporto di Chongqing è stato scoperto il primo caso di vaiolo delle scimmie). Non tutti avevano le mascherine di rito, e tanto meno quelle che forniscono più protezione. Anche il distanziamento per le foto opportunity lasciava a desiderare. Il presidente cinese si è irritato e ha fatto improvvisamente cambiare il protocollo per il fitto calendario di bilaterali e trilaterali fra leader che era stato organizzato.

Protocollo ripensato

Il primo a farne le spese è stato il presidente russo, Vladimir Putin, costretto a cambiare percorso recandosi per il faccia a faccia con Xi Jinping in un hotel della delegazione cinese in cui i russi non avevano di fatto avuto parte nell’organizzazione della sicurezza. Ma per il presidente russo in questo momento il valore strategico di quel faccia a faccia era così alto da non potersi permettere appunti di sorta.

Così Putin ha dovuto accettare anche una location dell’incontro piuttosto grottesca, tanto da fare impallidire il ricordo del tavolone al Cremlino per il faccia a faccia con Emanuel Macron prima della invasione dell’Ucraina. I cinesi avevano organizzato un ampio tavolo a ferro di cavallo con in mezzo una composizione di piante e fiori a forma di bara, e ai due estremi Putin e Xi Jinping che si son o letti l’un l’altro un discorso scritto a lungo preparato.

L’amicizia tra Russia e Cina

In quello del presidente russo c’era tutta la propaganda che gli serviva e anche la sottolineatura della storica amicizia fra Russia e Cina che nessuno al mondo mai avrebbe potuto incrinare. In quello del presidente cinese assai più distacco e freddezza, tanto è che (stessa sorte capitata al capo del governo indiano Narendra Modi) è stato pubblicato con ampi tagli sul sito ufficiale del Cremlino in coda al discorso integrale del presidente russo.

Il colloquio, che poi ha avuto un bis grazie a un trilaterale con il presidente della Mongolia, è stato piuttosto deludente per Putin, tanto che la Izvestia nella sua corrispondenza da Samarcanda l’ha così commentato: «Dopo il 24 febbraio, la parte cinese non ha ufficialmente condannato le azioni di Mosca, ma non ha nemmeno espresso un aperto sostegno alla Federazione Russa».

La stessa Izvestia mostrando anche una certa libertà che la stampa russa oggi conserva, riporta le considerazioni di Vladimir Portyakov, capo ricercatore del Center for Political Studies and Development Forecasts of the Institute of China and Modern Asia: «Pechino ha già fatto molto, soprattutto in termini di aumento degli acquisti di petrolio e gas russi. Non vedo una sola area in cui possa sostenere la Russia oltre a ciò che ha già aiutato. La Cina ha davvero paura delle sanzioni secondarie, Huawei ha addirittura ridotto la sua presenza in Russia. Ma il punto non è tanto nelle paure cinesi, quanto nei fattori oggettivi: la Cina ora ha molti dei suoi problemi sia nell’economia che nelle relazioni internazionali».

Il faccia a faccia tra Putin e Modì

Non è andata diversamente nel faccia a faccia di Putin con il premier indiano Modì ed è anche piuttosto povero rispetto alle attese il cesto degli accordi bilaterali o multilaterali firmati dalla Russia con i possibili partner. Tanto che i più sostanziosi riguardano il campo sanitario e farmaceutico, e non gas e petrolio che sarebbero serviti come il pane alla Russia. Ce ne erano già in corso, ma né Cina né India in questo momento vogliono compiere ulteriori passi mettendosi apertamente di traverso all’Occidente e alle sue sanzioni.

Anche sotto il profilo tattico-politico Putin porta a casa quasi nulla. Non ha sfondato apertamente il suo disegno (che è poi la vera guerra che sta facendo all’Occidente sulla pelle dell’Ucraina) di trasformare la finanza e l’economia mondiale facendo emergere le valute regionali di quell’area come alternativa a un dollaro e un euro più deboli e poco attrattivi. Non ha avuto al momento il sì di nessuno dei grandi paesi che voleva coinvolgere l’idea di sostituire i circuiti di pagamento occidentali con il sistema Mir della Russia, alternativo al circuito swift. Non solo l’idea non trova sostegno né in Cina né in India, ma nemmeno è stata aperta la possibilità che i cittadini russi possano usare all’estero quel sistema. I pagamenti Mir sono accettati ad oggi da pochissimi paesi, e il solo grande è la Turchia (gli altri sono Armenia, Ossezia, Abkhazia e Tagikistan): qualche apertura è arrivata solo da paesi arabi interessati al turismo milionario russo.

Dichiarazione finale

Ma anche sotto il profilo politico ed economico il vertice Sco non è stato una stampella come sperava la Russia. Si è concluso con un lungo documento di impegno comune in 121 punti, dove mai viene citata l’Ucraina (e si capisce), ma nemmeno la possibilità di implementare accordi comuni su gas e petrolio. Putin anzi ha dovuto mettere la sua firma sotto una dichiarazione (che certo è carta) di questo letterale tenore: «Gli Stati membri sostengono il rispetto del diritto dei popoli a scegliere in modo indipendente e democratico il proprio sviluppo politico e socio-economico e sottolineano che i principi di rispetto reciproco per la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale degli Stati, l’uguaglianza, il beneficio reciproco, la non interferenza negli affari interni e il non uso o la minaccia di uso della forza sono la base per lo sviluppo sostenibile delle relazioni internazionali. Riaffermano il loro impegno a risolvere pacificamente le differenze e le controversie tra i Paesi attraverso il dialogo e la consultazione».

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