Togliere i dazi con la Cina? Biden frena e il settore auto può crollare
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Mondo Ven 12 agosto 2022

Togliere i dazi con la Cina? Biden frena. Ma il settore auto può crollare

Nodo Taiwan, togliere i dazi con la Cina? L’Europa ci sperava, ma ora Biden frena. Stop alle trattative Usa-Pechino. Berlino. Togliere i dazi con la Cina? Biden frena. Ma il settore auto può crollare
Redazione Verità&Affari
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I dazi con la Cina

Dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, di negoziazioni con Pechino per abbassare una parte dei 250 miliardi di dazi americani sulle importazioni cinesi (quel che rimane della guerra commerciale lanciata da Donald Trump) non si parla più. Il viaggio a Taipei della speaker della Camera dei rappresentanti americana (la terza carica istituzionale degli Usa) ha suscitato la prevedibile reazione cinese, con imponenti esercitazioni militari attorno all’isola che Pechino considera destinata a riunirsi inevitabilmente alla madrepatria. In queste circostanze, il lavoro che lo staff presidenziale stava portando avanti per alleggerire una parte dei dazi, in modo da contenere la salita dell’inflazione (soprattutto in vista delle elezioni di metà mandato di novembre), è entrato in uno stato di sospensione.

Aperta ogni opzione

Secondo quanto riportava Reuters, i collaboratori del presidente (che stavano prendendo in considerazione una complessa architettura con la cancellazione di alcuni dazi, l’introduzione di altri e l’ampliamento del campo dei settori esentati, soprattutto per venire incontro a quelle aziende che possono rifornirsi solo in Cina) non vorrebbero ora porsi nelle condizioni di essere accusati di cedere davanti aggressività cinese o all’opposto di voler eliminare l’escalation. «Dopo Taiwan è cambiato tutto», ha detto una fonte vicina al dossier. Ma Biden si mantiene aperte tutte le porte. «Il presidente non aveva preso una decisione prima degli eventi nello stretto di Taiwan e non ha ancora preso una decisione, punto. Nulla è stato accantonato o messo in attesa, e tutte le opzioni rimangono sul tavolo», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Saloni Sharma.

Il nodo delle esenzioni è particolarmente delicato. L’amministrazione Trump aveva approvato esclusioni tariffarie per oltre 2.200 categorie di prodotti importati, tra cui molti componenti industriali e prodotti chimici. Queste esenzioni però sono scadute con l’insediamento di Biden nel gennaio 2021 e la rappresentante del commercio statunitense Katherine Tai ne ha in seguito ripristinate solo 352. Molte aziende pressano l’amministrazione perché il numero dei prodotti esentati si allarghi. Per contro, i sindacati chiedono invece di mantenere i dazi per contrastare la concorrenza che i cinesi portano alle aziende americane grazie al costo del lavoro più basso. Proprio per districarsi tra queste spinte opposte, Biden era intenzionato a introdurre nuove tariffe e toglierne altre, ma il gioco non deve essere a somma zero, perché l’obiettivo è ridurre i prezzi dei prodotti importati e quindi l’inflazione, che a giugno ha toccato la soglia del 9,1% e che a luglio si è attestata all’8,5%.

Le posizioni degli Stati Uniti e della Cina

Un accordo però lo si fa in due, e gli Stati Uniti accusano la Cina di aver dato finora pochi segnali di disponibilità ad accogliere l’eventuale taglio dei dazi con misure dello stesso segno. Per esempio, alla fine del 2019 Trump raggiunse con la Cina un accordo con cui Pechino si impegnava ad aumentare gli acquisti di alcuni prodotti americani. La Cina poi non ha rispettato questi impegni. Pechino si è giustificata dando la colpa alla pandemia da Covid-19 iniziata proprio in concomitanza con la firma dell’accordo nel gennaio del 2020.
la simulazione

Osservatori interessati dell’evolversi della situazione, gli europei verranno toccati in un modo o nell’altro dall’esito delle trattative. In Germania non si nasconde una certa apprensione. Recentemente l’istituto Ifo ha annunciato i risultati di una simulazione, in base alla quale se le economie occidentali si sganciassero del tutto da quella cinese, i costi per l’economia tedesca sarebbero altissimi. L’industria automobilistica perderebbe l’8,47% del valore aggiunto, i produttori di attrezzature per il trasporto il 5,14%, e l’ingegneria meccanica, il 4,34%.

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