Generali vuole fare l'americana per diluire il pericolo Btp
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Nuove Economie Mar 11 ottobre 2022

Generali vuole fare l'americana per diluire il pericolo Btp

Generali, sempre secondo vari rumors, si preparerebbe a vendere la controllata al 51% Banca Generali, attiva nel risparmio gestito. Generali vuole fare l'americana per diluire il pericolo Btp Generali
Edoardo Narduzzi
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Edoardo Narduzzi

Generali e gli Stati Uniti

Con modalità più da gossip finanziario che da ordinata implementazione di una strategia industriale, la più grande compagnia assicurativa italiana ha fatto capire al nuovo governo in arrivo e agli investitori italiani che è pronta a sbarcare negli Usa. Generali, sempre secondo vari rumors, si preparerebbe a vendere la controllata al 51% Banca Generali, attiva nel risparmio gestito, al suo azionista di riferimento, Mediobanca, per investire il ricavato per comprare un grande brand del wealth management statunitense, Guggenheim Partners, che alla fine dello scorso giugno aveva in gestione 228 miliardi di dollari di asset diversificati.

L’operazione rinvia all’acquisizione della sua concorrente tedesca Allianz che nel 2000 aveva comprato, per 3,3 miliardi di dollari, l’asset manager Pimco, fortemente specializzato nel comparto obbligazionario, che all’epoca vantava circa 260 miliardi di dollari di asset under management. L’integrazione di Pimco in Allianz è stata tutt’altro che facile soprattutto nei primi anni post deal ed ha anche registrato l’uscita di scena del fondatore della stessa Pimco, Bill Gross.

Ma Allianz era sbarcata negli Usa oltre venti anni fa quando gli Stati Uniti erano ancora un mercato molto interessante per il wealth management che vantava buoni tassi di crescita annuali nelle masse gestite e buone commissioni. Oggi, invece, l’industria del risparmio gestito è entrata nella fase della sua maturità, almeno nel mondo occidentale, quella nella quale prezzo e costo marginale di produzione tendono a coincidere, perché la concorrenza, anche quella delle varie fintech, sta sempre più cannibalizzando interi segmenti della clientela, come nel caso di Robinhood Markets che è il broker di riferimento delle nuove generazioni più interessate al trading e, quindi, al wealth management diretto in azioni, anche in modo frazionario, che non ai tradizionali investimenti in fondi ed Etf.

Come e con quali modalità nel futuro risparmiatori ed investitori decideranno di gestire il proprio patrimonio finanziario è ancora non facile da decifrare, ma è assai probabile che interfacce alla Alexa alimentate da algoritmi di intelligenza artificiale e sistemi di trading automatizzato saranno sempre più preferiti ai gestori umani pieni zeppi di conflitti di interessi e troppo influenzati dallo shortermismo dei loro bonus personali, come ha ricordato lo scorso mese il crollo della sterlina messa in ginocchio dalle vendite forzate dei gilts da parte dei fondi pensione britannici diventati, senza dirlo a nessuno, degli autentici hedge funds solo per garantire il pagamento di generosi perfomance bonus annuali ai loro manager. La finanza del prossimo futuro sarà sempre più affidata all’oggettività delle macchine e sempre meno alla soggettività dei bipedi.

La doppia partita Guggenheim Partners-Banca Generali appare più legata alla necessità di trovare una nuova governance al Leone di Trieste che non ha chiare strategie industriali, anche perché Banca Generali non è leader di mercato; capitalizza 3,2 miliardi di euro, molto meno dei 5 miliardi di Banca Mediolanum a riprova del fatto che anche nel risparmio gestito una guida imprenditoriale visionaria e capace è sempre meglio del solito management da MBA standard.

Indubitabilmente il portafoglio di Banca Generali farebbe molto comodo a Mediobanca per avere qualcosa da dire in questo segmento di mercato e continuare la diversificazione del suo attivo consolidato. Come la cessione possa avvenire senza un beauty contest è davvero difficile da capire, perché pare una prova ordalica riuscire a dimostrare che Mediobanca sia in grado di offrire il prezzo migliore rispetto a quello praticabile da qualunque altro potenziale acquirente. Mentre l’ingresso dei soci americani nell’azionariato di Generali potrebbe fare diluire gli scomodi soci italiani che non sono allineati con le strategie di Philippe Donnet e Alberto Nagel.

Infine c’è la partita Btp. A fine giugno Generali ne aveva in portafoglio per 52 miliardi un valore importante, soprattutto se l’Italia dovesse subire una nuova riduzione del rating, ma che avrebbe tutto altro peso percentuale nell’attivo di gruppo consolidato se potesse essere diluito aggiungendo i 228 miliardi della preda americana. Eppoi, chi può dubitare che una Guggenheim italianizzata non saprebbe ben classare proprio i Btp, dai rendimenti tornati interessanti, nei portafogli dei clienti statunitensi?

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