Passera: "Così possiamo salvare l'Italia. E alla Meloni dico..."
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Approfondimenti/Personaggi
ApprofondimentiPersonaggi Lun 15 maggio 2023

Corrado Passera: "Così possiamo salvare l'Italia. E alla Meloni dico che..."

Dalle Poste a Intesa Sanpaolo, poi l'esperienza al governo con Mario Monti fino alla fondazione di Illimity, la carriera di Corrado Passera. Corrado Passera: "Così possiamo salvare l'Italia. E alla Meloni dico che..." CORRADO PASSERA FONDATORE E CEO DI ILLIMITY
Emanuele Bonora
di 
Emanuele Bonora

Giornalista de La Verità, esperto di nuovi media. Responsabile dell'edizione online del quotidiano e delle strategie digitali.

Quando nel 1998 lo chiamarono a risanare le Poste, gli dissero: “Ma chi te lo fa fare?”. Nel 2006 completò la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo, dando vita a quel colosso bancario, che guidò per 5 anni. Poi Mario Monti lo volle al suo fianco al governo nel 2011 come ministro dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture. Alla fine, tentò di fondare un partito, Italia Unica, e di candidarsi a sindaco di Milano. Ma quello per la politica, va detto, fu un amore poco corrisposto. “Non siamo riusciti a convincere”, si era giustificato allora. Da qui, l’inizio della terza vita di Corrado Passera, con la nascita nel 2018 di Illimity, specializzata nel credito alle imprese: “Torno a fare il banchiere e punto sulle Pmi”. Qualche soddisfazione è già arrivata: “Siamo l’unica neo banca che partendo da zero è arrivata in quattro anni ad avere un attivo di bilancio che supera i 6 miliardi di euro”, afferma. E anche ora, tra l’inflazione che non cala, tassi d’interesse in rialzo e Banche centrali imperscrutabili, non sembra particolarmente impensierito sul futuro.

“Diciamo che i banchieri centrali vengono investiti di una responsabilità eccessiva, rispetto agli strumenti di cui dispongono – interviene -. Viene data loro una quasi totale responsabilità per la gestione dell’inflazione, quando hanno a disposizione solo alcuni strumenti, sostanzialmente la politica monetaria, i tassi, e usano quelli. Sul fatto che si dovesse uscire dai tassi zero o negativi e si debba combattere l’inflazione, credo che nessuno abbia dubbi e quindi in parte siamo semplicemente ritornati in una situazione di normalità dopo anni di non normalità monetaria dovuta a recessione, covid, guerra, eccetera. La politica monetaria non è l’unico modo per gestire l’inflazione: mi riferisco alla politica fiscale, economica, di welfare… Faccio solo un esempio: non ci siamo adoperati in tempo per staccare i meccanismi di fissazione dei prezzi dell’elettricità da quelli della borsa del gas in Olanda. Oggi, a mio parere, sarebbe sbagliato procedere con ulteriori aumenti di tassi, perché i danni collaterali che si avrebbero sarebbero troppo elevati sia in termini di solvibilità del credito, che di rischio di recessione oltre che di disagi sociali, ancora più ampi di quelli che ci sono attualmente”.

Sta dicendo che le banche centrali hanno sbagliato a decidere per un così repentino rialzo dei tassi?

“Le banche centrali hanno fatto la loro parte. Se con l’aumento dei tassi fino ad oggi realizzato riusciranno a fermare l’inflazione, senza provocare una recessione, sarà un successo completo. Staremo a vedere se questo succederà. Purtroppo, come sappiamo, la nostra inflazione è solo parzialmente dovuta ad un’eccesso di domanda mentre è esplosa soprattutto su problematiche di offerta e sulla strozzatura di alcune forniture. La politica monetaria è più efficace sulle cause dell’inflazione legate all’eccesso di domanda, come è stato negli Stati Uniti, e agisce solo indirettamente, attraverso un rallentamento complessivo dell’economia, sulle ragioni principali che hanno causato l’inflazione europea. Gli effetti negativi inevitabili dell’aumento dei tassi di mercati sono ovvi su tutti coloro che hanno redditi non parametrati all’aumento dei prezzi e sui titoli obbligazionari a reddito fisso. Talune banche, che hanno investito molto in titoli di questo genere senza adeguate coperture, corrono il rischio di perdere una parte del loro patrimonio. La Silicon Valley Bank aveva accumulato perdite potenziali sui suoi investimenti in titoli che azzeravano il suo intero capitale”.

E va anche detto che le trimestrali hanno dimostrato che le banche sono quelle che ci stanno guadagnando di più dal rialzo dei tassi…

“Con l’aumento dei tassi naturalmente si avvantaggiano di più nell’immediato le banche con un’ampia base di clientela e di depositi, perché aumentano i tassi attivi, cioè quelli pagati dalla clientela sui prestiti, e di solito non alzano i tassi passivi, cioè quelli pagati alla clientela sui depositi. Però le stesse banche non sono indenni dalle conseguenze negative dei rialzi. L’aumento dei tassi vuol dire, infatti, aumento del cattivo credito e quindi relative perdite oltre che potenziale aumento delle perdite sul valore dei titoli di proprietà. Anche questo ragionamento ci porta ai recenti casi delle banche americane che per massimizzare i profitti hanno esasperato il cosiddetto mismatch delle scadenze: raccolta quasi tutta a breve termine e impieghi e investimenti quasi tutti a lungo termine. Alla prima crisi di liquidità saltano in aria. Da noi questo genere di politiche gestionali non verrebbero tollerate dal Regolatore. In Illimity, in particolare abbiamo da sempre preferito rinunciare a una parte dei profitti derivanti dal mismatch delle scadenze e mantenere una raccolta meno volatile e più prudente”.

Potrebbe essere questo il motivo per cui il titolo di Illimity in Borsa da un anno soffre?

“Secondo me i fattori sono in buona parte contingenti. Taluni investitori hanno visto il credito alle piccole e medie imprese in Italia un’attività che hanno considerato troppo rischiosa, mentre i nostri numeri dimostrano che si può fare bene. Poi, c’era stato il momento in cui le azioni non avevano raggiunto nei tempi previsti i famosi 14 euro che avrebbero permesso la conversione delle azioni speciali e c’era stato il timore che i fondatori lasciassero l’azienda. E, invece, siamo qui a dimostrare esattamente il contrario. Ultimo, sicuramente, c’è stato da parte di alcuni anche il timore che, una banca giovane come la nostra, nella raccolta potesse soffrire gli effetti dell’aumento dei tassi. Ma anche su questo punto abbiamo dimostrato che non è così”.

A proposito di Borsa, cosa pensa del Dl capitali, approvato dal governo Meloni?

“Qualsiasi misura che aiuta le imprese, soprattutto medio piccole, ad andare in Borsa è benvenuta. Quello che mi sento di dire è che ancora oggi la Borsa è considerata troppo costosa e complicata per le società più piccole. Si aggiunge una attitudine sempre più orientata al brevissimo termine da parte di molti operatori che quindi non premiano le aziende che investono in programmi di medio periodo”.

Da ministro aveva liberalizzato anche il private debt, come forma di finanziamento alternativa. In questo momento di mercato potrebbe far comodo a tante Pmi…

“Avevamo aperto il mercato dei capitali anche alle aziende medio piccole non quotate, creando i mini bond e creando spazio per i fondi di credito, che oggi sono diventati degli operatori importanti che danno credito all’economia. Il private debt ha il vantaggio di essersi sviluppato specializzandosi in ambiti molto precisi. Ci sono oggi operatori che si dedicano a specifici settori, fasi aziendali e progetti a beneficio delle imprese finanziate”.

Sono passati 10 anni dalla sua esperienza di governo. Cosa le è rimasto di quegli anni?

“Un bellissimo ricordo, perché contribuire a salvaguardare la sovranità dell’Italia è sicuramente un risultato che ha giustificato la mia scelta di lasciare una posizione che amavo, e che oggettivamente era una bellissima posizione, come quella di amministratore delegato di banca Intesa Sanpaolo. La seconda cosa che mi è rimasta è che in pochi anni si possono fare anche delle cose molto forti, se si vuole. Parlando solo del settore di mia responsabilità, siamo intervenuti per liberalizzare il credito, il commercio, l’assicurazione, il gas; abbiamo fatto la legge sulle startup, che ne ha fatto nascere più di 15.000 e inventato il concordato in continuità che ha salvato decine di migliaia di casi. Pensi alle politiche energetiche. Siamo riusciti a far approvare il Tap contro tutti coloro che volevano fare un altro gasdotto Nord Stream dalla Russia. Se allora non avessimo preso quella decisione ci saremmo trovati in una crisi veramente grave dopo l’invasione dell’Ukraina. Erano stati messi in moto anche due rigassificati importanti, che poi non furono fatti, ma che se oggi avessimo avuto, insieme all’aumento delle estrazioni nazionali, ci avrebbero resi indipendenti dai ricatti russi. Sono solo alcuni esempi. Ecco, quello che ho imparato è che si può fare tanto nel mondo della politica, intesa come amministrazione dello Stato. Poi ho avuto una parentesi di minore di soddisfazione, ovvero quando ho provato a vedere se questa esperienza poteva diventare un movimento politico fino a pensare di propormi come sindaco a Milano, salvo dover desistere, dopo aver verificato che non c’era spazio per una terza offerta, oltre a quella del centrodestra e del centrosinistra. Ma non sempre il male viene per nuocere: da quel non successo è derivata una discontinuità grazie alla quale oggi c’è Illimity e ci sono 900 illimiters appassionati al mondo delle Pmi del nostro Paese”.

Dove ha sbagliato politicamente? È rimasto vicino a Monti per troppo tempo?

“Lo ripeto. Il nostro governo ha avuto il grande merito di evitare il commissariamento dell’Italia e questa è stata una missione compiuta. Ha avuto il grande merito di fare anche quelle riforme, che la politica non avrebbe mai fatto. Non si poteva non affrontare il tema delle pensioni, introducendo il sistema contributivo, più sostenibile, e adeguando l’età di pensionamento alle nuove aspettative di vita. Forse non è stato fatto abbastanza in termini d’investimento, di crescita. Ma non dimentichiamoci che all’epoca non c’ere certo il Pnrr, anzi, non c’era un euro a disposizione. Per tutte le cose che abbiamo fatto, dovevamo trovare le risorse senza gravare sul deficit pubblico. Se pensiamo alla situazione di fine 2011 e isoliamo gli effetti dei tre successivi interventi di tagli fatti dal governo precedente, il nostro anno e mezzo di lavoro merita una valutazione positiva”.

Ha detto che al governo si possono fare grandi cose in poco tempo, che è esattamente il contrario di quello che dice tradizionalmente la politica.

“Per vita vissuta so che spesso si adducono scuse per giustificare l’inazione: la burocrazia, i sindacati, i vincoli europei… Nei miei due ministeri ho trovato delle persone super competenti, che avevano bisogno solo di essere messe nelle condizioni di lavorare. Tutti i lunedì mattina ci trovavamo con i direttori generali con un foglione, che aveva dei simboli verdi, rossi e gialli. Indicavano lo stato delle cose da fare. Dai governi precedenti avevamo ereditato 150 decreti attuativi e li abbiamo processati tutti. Il problema spesso non è la burocrazia, ma sono le leggi che sono state fatte per organizzare la burocrazia. È uno strumento, non un’entità astratta, che decide da sola come comportarsi. Con il metodo giusto, e io l’ho toccato con mano, si possono fare delle cose clamorose. Guardi la mia esperienza alle Poste. All’inizio tanta gente mi diceva: lascia stare, lascia perdere, sono tutti incapaci. Ma non era vero niente. Non erano in condizioni di lavorare. Ho semplificato i processi, investito in tecnologia e in formazione e in 4 anni, una delle peggiori Poste del mondo, è diventata una delle migliori”.

Mi sembra un bel consiglio per il governo Meloni.

“Non mi permetto di dare consigli, parlo solo della mia esperienza. Posso aggiungere che in momenti come questi, in cui comunque l’Italia dimostra una vitalità nel campo delle esportazioni clamorosa, bisogna premiare fiscalmente, in maniera strutturale, le aziende che investono in innovazione, che assumono stabilmente, che si aggregano, che si capitalizzano, perché sono queste imprese che trainano il Paese. Poi è chiaro che bisogna aiutare meglio chi si trova in situazioni di difficoltà. Perché il disagio sociale è enorme e certamente non usiamo in modo efficace i tanti soldi che dedichiamo all’assistenza a livello nazionale, regionale e comunale: non abbiamo nemmeno ancora una anagrafe dell’assistenza”.

C’è altro?

“Servono leggi sul modello di Industria 4.0, ma con più risorse di quelle previste oggi: sono tutti soldi che ritornano sotto forma di maggiore crescita. E poi bisogna spingere sulle infrastrutture fisiche e digitali. Infine, c’è il grande tema della scuola. Non possiamo affrontare il mondo nuovo con una scuola rimasta quasi all’Ottocento”.

A suo tempo si era occupato del salvataggio di Alitalia con l’operazione “capitani coraggiosi”. Adesso ci troviamo di fronte all’ennesima operazione di salvataggio per la compagnia aerea.

“Ho sempre pensato che in Europa potessero esserci pochissime grandi compagnie aeree. Quando ci siamo occupati da finanziatori del dossier di Alitalia l’ipotesi era quella di un’alleanza con Air France-Klm che portasse nel tempo ad una fusione. Io stesso ero andato a convincere Spinetta, AD di Air France, a prendere il 25% della nostra compagnia. L’idea era di completare la ristrutturazione di Alitalia e quindi mettere insieme le due aziende. Poi soprattutto loro avevano avuto dei problemi e il progetto era venuto meno. L’Alitalia non aveva completato la ristrutturazione, è vero, però la compagnia aveva ridotto moltissimo le perdite portandole vicino ai 50 milioni e non eravamo quindi lontanissimi dall’obiettivo. A quel punto bisognava immediatamente scegliere un altro partner europeo e non poteva che essere Lufthansa. Invece, si scelse di andare con una compagnia mediorientale: Etihad. In Lufthansa oggi bisogna entrarci come parte di un gruppo solido, che ha mezzi e competenze. Spero che si completi in tempo breve l’operazione di acquisizione e che non si facciano altri errori o che si prendano altre mezze decisioni. Così avremo una compagnia specializzata sull’Italia parte di un grande gruppo, che opera a livello globale”.

Condividi articolo