Dal voto alle dimissioni respinte, la cronaca della giornata di Draghi
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In evidenzaPolitica Ven 15 luglio 2022

Dalla fiducia alle dimissioni respinte, la cronaca della giornata di Draghi

Il decreto Aiuti passa con il voto di fiducia del Senato. Si ripete il copione della Camera. Il premier Mario Draghi si è arreso Dalla fiducia alle dimissioni respinte, la cronaca della giornata di Draghi
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Perchè il premier ha dato le dimissioni

Il decreto Aiuti passa con il voto di fiducia del Senato, ma i 5 Stelle abbandonano l’aula come avevano annunciato. Si ripete il copione della Camera, ma questa volta si è aperta la crisi. Il premier Mario Draghi si è arreso. «Voglio annunciarvi che questa sera rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica», ha detto al Consiglio dei ministri. «Le votazioni di oggi sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico». D’altronde, il premier era stato categorico: non si fa un governo senza i 5 Stelle e non ci sarà un Draghi bis. Un concetto ribadito anche nella telefonata con Giuseppe Conte, che mercoledì sera aveva riunito per la seconda volta nella giornata il Consiglio nazionale del movimento per sancire la linea dell’Aventino.

«La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più», ha spiegato Draghi. Il premier ha ricordato il suo grande impegno per andare avanti e venire incontro alle esigenze avanzate dalle forze politiche. «Come è evidente dal dibattito e dal voto di oggi in Parlamento – ha detto – questo sforzo non è stato sufficiente». Ma quando ieri sera è risalito al Quirinale ha trovato un Sergio Mattarella irremovibile, che ha respinto le sue dimissioni rimandandolo alle Camere. Il premier dimissionario dovrebbe infatti presentarsi lì mercoledì 20 luglio. Tutto fa pensare a un Draghi bis. Ma senza i 5 Stelle? Ieri lo strappo di Conte si è consumato tra cori, urla e botta e risposta che riecheggiavano a Palazzo Madama tra i banchi del centrodestra e quelli dei grillini durante le dichiarazioni di voto. Alla fine i “sì” sono stati 172, i “no” 39 e nessun astenuto. Draghi a quel punto ha deciso di salire al Quirinale e, dopo un’ora di colloquio Mattarella, è rientrato a Palazzo Chigi, rinviando il Consiglio dei ministri, nel quale ha poi annunciato le dimissioni.

Le posizioni sui partiti

L’epilogo al Senato e le dimissioni di Draghi hanno subito dato fiato ai partiti che non vedono l’ora di tornare alle urne. Giorgia Meloni ha invocato il «voto subito» «Niente scherzi questa legislatura è finita», ha detto dopo le dimissioni del premier. «Di che colore sarà il nuovo governo non lo sappiamo, tenteranno di capire se c’è un’altra maggioranza», ha aggiunto, sapendo che molti partiti non sono felici di andare alle urne. Sono molti nel Carroccio che vorrebbero il voto anticipato, anche se il ministro leghista dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, è stato più possibilista dicendo che «ci sono sempre i supplementari». Dalla Lega e da Forza Italia è arrivata anche una dichiarazione di intenti. «Prenderemo decisioni comuni», hanno spiegato dopo la telefonata tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini.

Il centrosinistra gioca invece le ultime carte per lanciare un Draghi bis. La capogruppo Pd al Senato Simona Malpezzi e Italia Viva di Matteo Renzi hanno chiesto, infatti, al premier di andare avanti. Richiesta ribadita in Consiglio dei ministri anche dal ministro Pd del Lavoro, Andrea Orlando, che avrebbe invitato Draghi a un ripensamento. Il segretario del Pd Enrico Letta, invece, sembrava di tutt’altro avviso, almeno a parole. «Siamo disponibili a una continuazione di questo governo Draghi, non siamo disponibili a tirare avanti con chicchessia: se non ci saranno le condizioni, se altri partiti della maggioranza si sfileranno, allora la parola passerà agli italiani», ha spiegato. Ma in verità il Pd rifugge le urne anticipate, anche se mostra di non averne paura, e spera che per mercoledì il premier ricrei una maggioranza. Sicuramente confida in Mattarella.

Chi è terrorizzato dal voto è Luigi Di Maio, che ha abbandonato i Cinque Stelle per fondare Insieme per il futuro. Il ministro degli Esteri non è stato leggero con gli ex compagni: «I dirigenti M5S stavano pianificando da mesi l’apertura di una crisi per mettere fine al governo Draghi. Sperano in nove mesi di campagna elettorale per risalire nei sondaggi, ma così condannano solo il Paese al baratro economico e sociale». Ma Conte e i suoi sanno che, a prescindere dall’emergenza economica del Paese, se proseguissero l’avventura di governo finirebbero stritolati, continuando a perdere pezzi e rendendo il movimento irrilevante elettoralmente e politicamente. Ora bisogna vedere se avranno il coraggio di andare sino in fondo. Mattarella permettendo.

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