Nessuno vuole il Mes, si ritirano tutti i candidati alla direzione
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Politica Mer 21 settembre 2022

Nessuno vuole andare al Mes, si ritirano tutti i candidati alla direzione

Non c’è pace per il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità erede del fondo salva-Stati, messo in piedi dieci anni fa . Nessuno vuole andare al Mes, si ritirano tutti i candidati alla direzione DURANTE IL QUESTION TIME DI GIUSEPPE CONTE
Alessandro Giorgiutti
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Alessandro Giorgiutti

Nato a Udine nel 1978, ha lavorato vari anni a Libero con una breve parentesi al Giornale.

La direzione del Mes

Non c’è pace per il Mes, il Meccanismo europeo di stabilità erede del fondo salva-Stati, messo in piedi dieci anni fa ai tempi della crisi dell’euro. I suoi aiuti in realtà nessuno Stato li vuole, anche se in Italia, durante la pandemia, Pd e Italia Viva ne invocavano l’intervento salvifico un giorno sì e l’altro pure, almeno fino a quando Mario Draghi non discese su Palazzo Chigi e a quel punto, come disse il senatore renziano Davide Faraone durante un memorabile intervento in Parlamento, del Mes non ci fu più bisogno «perché il nostro Mes è lei, presidente». Ma oltre ai soldi del Mes (e alle rigide condizionalità ad essi collegate), sembra quasi che ora nessuno voglia più nemmeno la sua poltrona di direttore generale.

Ieri infatti gli ultimi due contendenti alla carica, il lussemburghese Pierre Gramegna e il portoghese Joao Leao (sostenuto dall’Italia) hanno gettato la spugna e si sono ritirati. «Era ormai chiaro che nessuno dei due candidati avrebbe raggiunto il quorum dell’80%» all’interno dell’Eurogruppo, hanno fatto sapere fonti comunitarie. La notizia l’ha data ieri proprio il presidente dell’Eurogruppo, l’irlandese Paschal Donohoe, con un tweet: «Lussemburgo e Portogallo mi hanno informato della loro decisione di ritirare i rispettivi candidati alla carica di direttore generale del Mes. Pierre Gramegna e Joao Leao erano entrambi candidati eccellenti e li ringrazio per il loro impegno in questo processo».

E ora che succede? Il mandato dell’attuale (e finora unico) direttore, il tedesco Klaus Regling, in carica dal 2012, scade il 7 ottobre, e Donohoe è intenzionato a trovare un profilo che possa trovare il consenso necessario prima di quella data. Tra i candidati alla poltrona di direttore del Mes originariamente c’era anche l’italiano Mario Buti, per molti anni direttore generale per gli affari economici e finanziari dell’Unione europea, prima di diventare il capo di gabinetto del commissario Paolo Gentiloni, suo grande sponsor nella corsa alla successione di Regling. Buti però si è ritirato lo scorso luglio. A poco gli era servita la lettera di autocandidatura che due mesi prima aveva inviato a Donohoe, nella quale, come rivelò Verità&Affari, Buti si vantava di aver «dimostrato, durante la mia esperienza alla Commissione, la capacità di prendere decisioni impopolari che in alcuni casi hanno attirato critiche in Italia per essere eccessivamente severo».

La riforma in bilico

Oltre alla scelta del direttore, sul Mes c’è da tempo un altro nodo da sciogliere, quello della ratifica della sua riforma da parte degli unici due Stati che ancora non l’hanno fatto, cioè la Germania (dove la Corte di Karlsruhe dovrà valutare la compatibilità del nuovo Mes con la Costituzione tedesca) e l’Italia. Il nostro paese ha approvato la riforma con riluttanza. In un primo momento aveva posto un veto a livello di Eurogruppo (si era ai tempi del primo governo Conte), poi il veto venne tolto e la riforma fu approvata dai ministri delle finanze dell’Eurozona il 30 novembre 2019 (per l’Italia firmò Roberto Gualtieri, il governo Conte 2 era nato da poco) e dal nostro Parlamento il 9 dicembre.

Il dibattito però non si è mai del tutto arrestato, e a considerare pericolosa la riforma del Mes, che rende più probabile la ristrutturazione del debito di uno Stato in caso di erogazione di aiuti, sono soprattutto Fratelli d’Italia e Lega, che potrebbero diventare i primi due partiti della nuova maggioranza di governo. Ecco perché da Bruxelles negli scorsi giorni fonti comunitarie avevano tenuto a far sapere che «i paesi della zona euro si attendono che l’Italia proceda, dopo le prossime elezioni politiche, a ratificare la riforma a prescindere da chi vincerà», trattandosi di «un impegno preso dalla Repubblica italiana» .

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