Un po’ di Pd per La Russa e in Senato nascono i franchi spingitori
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Da non perderePolitica Ven 14 ottobre 2022

Quel po’ di Pd per La Russa, in Senato nascono i franchi spingitori

Ignazio La Russa è la seconda carica della Repubblica: presidente del Senato, grazie anche a quel po' di Pd che l'ha votato. Quel po’ di Pd per La Russa, in Senato nascono i franchi spingitori
Franco Bechis
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Franco Bechis

La Russa presidente del Senato

Era dato per scontato che ce l’avrebbe fatta con una delle elezioni più lisce della storia della Repubblica. E in effetti alla fine Ignazio La Russa (che di secondo nome fa Benito) da ieri è la seconda carica della Repubblica: presidente del Senato. Lo hanno votato 116 senatori su 200, uno in più della maggioranza di partenza di centrodestra. Il finale è stato quello che tutti avremmo scritto il giorno prima. Ma la partita non è stata quella che si immaginava. Perché dei 18 senatori di Forza Italia ben 16 non hanno nemmeno ritirato la scheda per votare. Lo hanno fatto solo in due: l’ex presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e Silvio Berlusconi. Nessuna prova che i due abbiano poi votato La Russa, mentre è probabile che dalle fila della maggioranza siano arrivati i due voti ottenuti alla fine dal leghista Roberto Calderoli.

Quindi nel segreto dell’urna a La Russa davvero a sorpresa sono arrivati fra 16 e 18 voti dalle fila dell’opposizione. Non possiamo chiamarli tecnicamente “franchi tiratori” perché il loro mestiere principale sarebbe impallinare -non impollinare – il candidato nel mirino. Sono piuttosto “franchi spingitori” che alla fine sono stati decisivi per l’elezione di La Russa, che nel suo primo discorso da seconda carica della Repubblica l’ha pure riconosciuto, ringraziando gli sconosciuti.

Franchi spingitori

Naturalmente è deflagrato il caso politico. Nel centrodestra per Forza Italia che si è sfilata proprio il primo giorno dalla maggioranza. Ma anche nel fronte delle opposizioni, visto che il 20% dei loro eletti ha scritto nel segreto dell’urna il nome del candidato più a destra che abbia mai avuto una grande istituzione della Repubblica italiana. Tutti gli occhi subito dopo erano puntati su Matteo Renzi e Carlo Calenda, che ovviamente hanno negato. Ma anche avessero fatto lo scherzetto compatti, erano in tutto 9 senatori e non possono spiegare quel che è avvenuto.

Inevitabilmente qualcuno del Pd o qualcuno del M5s si è aggiunto. Più facile la prima ipotesi, perché nel gruppo in tanti conoscono da anni La Russa e possono avere ceduto a una richiesta di favore. Certo il soccorso rosso al candidato nero ha spuntato l’arma che aveva in mano Berlusconi, e che riteneva micidiale. L’assenza di Forza Italia si è rivelata ieri senza alcuna importanza. Ma non sarà così al momento di varare un governo che deve contare su una maggioranza politica per i principali provvedimenti.

Sembra impossibile, ma il centrodestra ha rischiato di saltare in aria per un braccio di ferro che riguardava un solo nome: quello di Licia Ronzulli. Poco prima della votazione in Senato infatti c’era stato l’ennesimo incontro fra Berlusconi e Giorgia Meloni. Il Cavaliere si è presentato con una lista dei ministri azzurri dattiloscritta. Un fogliettino con il titolo “Ministri di Forza Italia”. Recitava così: “Esteri- Antonio Tajani; Giustizia Maria Elisabetta Casellati; Università: Anna Maria Bernini; Politiche europee Licia Ronzulli; Pubblica amministrazione: Maurizio Gasparri; Altro ministero: Alessandro Cattaneo; Sottosegretario presidenza per Editoria: Alberto Barachini”. Possiamo riferire il contenuto di quel foglietto perché Berlusconi l’ha poi portato dietro in Parlamento e un fotografo di Imagoeconomica è riuscito a inquadrarlo sia pure da lontano.

Il foglietto di Berlusconi

Dentro c’era tutta la storia dell’incontro, con variazioni scritte a mano. Il Cavaliere ha provato prima a dirottare la Ronzulli al ministero del Turismo. Evidentemente dopo un nuovo no della Meloni ha scritto lo stesso nome alla casella dei Rapporti con il Parlamento. Poi ha provato ad inserire (altra aggiunta a mano) Cattaneo alla Transizione Ecologica dove oggi c’è Cingolani. Ma sulla Ronzulli ha trovato un muro di fronte. La Meloni quel nome nella sua squadra proprio non lo vuole, si è intestardita. Ha risposto a male parole ai pontieri che le hanno provato a spiegare che quel contrasto era più facilmente assorbibile e tenibile a bada con un inserimento magari in posizione un po’ più defilata nell’esecutivo. La Ronzulli fuori hanno continuato i pontieri – magari alla guida del gruppo di Forza Italia del Senato – potrebbe essere assai più un problema per il governo di una Ronzulli dentro.

L’argomento, che avrebbe ben compreso qualsiasi esponente della vecchia dc, non ha fatto presa sulla leader di Fratelli d’Italia. Che ha fatto capire a Berlusconi come non sia sua intenzione – al di là dei candidati – dare a quel partito né il ministero della Giustizia né il posto da sottosegretario di Stato con la delega all’editoria per evitare polemiche su qualsiasi conflitto di interesse. Ai fedelissimi la Meloni ha chiarito quale sia la sua linea: «O faccio il governo che ritengo necessario in questo momento per il Paese, un esecutivo come lo ritengo io. O non lo faccio e non parto nemmeno, perché non sacrifico il mio onore per quieto vivere».

Navigazione difficile

Deve averlo capito anche Berlusconi, che pur essendo furente per tutto quello che è accaduto non vuole impuntarsi divenendo oggi il killer del centrodestra addirittura il primo giorno. Così ha scelto di non mettersi di nuovo di traverso, di digerire il no alla Ronzulli e di votare oggi con tutto il resto del centrodestra come presidente della Camera il leghista Lorenzo Fontana scelto in extremis da Matteo Salvini al posto di Riccardo Molinari, che continuerà a fare il capogruppo della Lega. La ferita per ora si ricompone, ma la navigazione della Meloni è chiaramente in salita.

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