Quanto rendono i titoli di Stato e quanto si può rischiare
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Risparmio Lun 18 luglio 2022

Quanto rendono i titoli di Stato con l'inflazione e quanto si può rischiare

I rendimenti obbligazionari sono in crescita compresi i titoli di Stato, ma i rischi sono in aumento per gli amanti del reddito fisso. Quanto rendono i titoli di Stato con l'inflazione e quanto si può rischiare
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

I rendimenti dei titoli di Stato in Europa

Con questi chiari di luna, la recessione in Europa è ormai dietro l’angolo. I rendimenti obbligazionari sono in crescita, ma i rischi sono in aumento per gli amanti del reddito fisso. Verità&Affari ne ha parlato con Victor Verberk, uno dei due responsabili del team credito di Robeco.

Secondo voi il rischio di recessione è concreto?

«Con molti settori dell’economia in surriscaldamento, gli indicatori segnalano un rischio di recessione crescente. La fiducia dei consumatori, la fiducia dei produttori, l’inversione delle curve dei rendimenti e l’accessibilità economica del mercato immobiliare indicano che ci sono problemi in vista. Questo non dovrebbe stupire, considerando la stretta monetaria aggressiva attuata dalle autorità in risposta all’inflazione dilagante. Le banche centrali attualmente non hanno altra scelta che inasprire ulteriormente le condizioni finanziarie per rallentare l’attività economica e ripristinare l’equilibrio tra domanda e offerta. Prima che la stretta possa essere interrotta, servono prove incontrovertibili di un calo dell’inflazione. Le possibilità che le spinte inflazionistiche scompaiano da sole sono scarse».

Cosa pensate sul fronte dell’inflazione?

«L’inflazione ha registrato un’impennata sia negli Stati Uniti sia in Europa, mentre rimane un po’ più moderata in Cina. Negli Usa il fattore scatenante è da ricercarsi evidentemente nell’imponente stimolo fiscale introdotto in una fase in cui l’output gap (la differenza tra il prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale, ndr) si era già chiuso. Anche in Europa c’è un elemento di eccessiva spesa pubblica, cui si aggiungono la crisi energetica e alimentare provocata dalla guerra in Ucraina e l’inflazione importata attraverso il canale dei tassi di cambio. Le pressioni inflazionistiche hanno causato uno shock ai redditi reali che negli Stati Uniti non si vedeva dagli anni ’70. Questo sviluppo, abbinato al brusco inasprimento delle condizioni finanziarie e alla fragilità del contesto macro-cinese, implica a nostro avviso un rischio concreto di recessione».

Le imprese sembrano in buona salute, ma i livelli di debito sono da monitorare?

«I margini di profitto delle aziende sono ai massimi ciclici, fatto non raro alla vigilia di un rallentamento economico. Le imprese hanno goduto della forte capacità di pricing power nel 2020 e nel 2021, due anni in cui i limiti all’offerta ed il sostegno governativo hanno favorito un aumento dei margini. In tutte le principali regioni gli utili superano del 20-40% i livelli del 2019. Durante il Covid una parte considerevole del rischio di credito delle Pmi è stata trasferita dai bilanci delle banche a quelli degli enti pubblici tramite il ricorso a prestiti garantiti dallo Stato. Questo strumento è stato utilizzato soprattutto nell’Europa meridionale; ad esempio, in Italia tali finanziamenti rappresentano più del 10% del Pil».

Quindi?

«Di conseguenza, all’aumentare dei default le banche sono in parte protette, poiché alcune delle eventuali perdite verrebbero assorbite dal governo. La conclusione è che le posizioni patrimoniali solide e le perdite su crediti probabilmente inferiori rispetto ai passati episodi di stress economico dovrebbero aiutare le banche a superare la tempesta. Siamo fiduciosi che il settore bancario non sarà l’epicentro delle tensioni durante la prossima recessione».

Cosa pensate delle valutazioni attuali?

«Gli spread di tutti i segmenti del mercato del credito hanno indubbiamente superato i livelli mediani. Quelli dei titoli investment grade e high yield in euro hanno persino raggiunto il primo quartile. Per quanto concerne l’investment grade, le valutazioni sono scese su livelli tali da indurci a mantenere un beta di portafoglio (la misura della rischiosità sistematica dell’azione, ndr) di poco superiore a 1. Anche nei portafogli di debito high yield ed emergente abbiamo ridotto il sottopeso di beta, ma non siamo ancora dappertutto in territorio positivo. Sull’high yield siamo più prudenti che sull’investment grade; il rapporto tra gli spread del primo segmento e quelli del secondo è piuttosto basso rispetto alla media storica, il che potrebbe condurre a una sottoperformance dell’high yield».

Vi aspettate un quadro tecnico impegnativo?

«Quest’anno la politica monetaria sarà chiaramente il fattore determinante dei prezzi delle attività finanziarie. Vi è una notevole incertezza riguardo all’entità dell’inasprimento monetario necessario per conseguire la stabilità dei prezzi e riportare l’inflazione verso gli obiettivi delle banche centrali senza scivolare in un contesto di deflazione. Questa incertezza sta alimentando una spiccata volatilità sui mercati obbligazionari. Ciò sottolinea ancora una volta l’importanza di adottare un approccio “contrarian” in questi mercati. Può capitare di essere presi alla sprovvista da un rally aggressivo in un mercato ribassista, ma si dovrebbe puntare ad assumere rischi quando altri rinunciano a farlo, e viceversa. La liquidità del mercato è molto fragile e bisognerebbe sfruttare questo fatto a proprio vantaggio».

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