Saipem
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QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO


Quotazione odierna di SPM da TradingView

Fu la punta di diamante dell’Eni negli anni d’oro delle perforazioni petrolifere, ma il valore di Borsa di Saipem in dieci anni è sceso da 22 a 1,6 miliardi nonostante due aumenti di capitale: 3,5 miliardi nel 2016 e altri due miliardi raccolti di recente con il robusto intervento del consorzio bancario di garanzia, che ha coperto i 600 milioni non versati dal mercato.

A sopportare il peso maggiore nell’ultimo aumento di capitale di Saipem, l’Eni (30,4% del capitale) e la Cassa Depositi e Prestiti, che aveva rilevato una quota del 12,5% in occasione del maxi-aumento di capitale del 2016. Una delle operazioni più impegnative della gestione Costamagna/Galia, allora presidente e amministratore delegato. Ma che fu anche l’occasione per riabilitare l’immagine di una azienda pubblica da anni sottoposta a critiche feroci da parte dei gestori. Soprattutto dopo “l’incidente” di gennaio 2013 che aveva avuto Blackrock come protagonista. Il maxi fondo americano era riuscito a vendere il suo 2,3% poche ore prima che il titolo crollasse del 30% per via del “profit warning” lanciato dalla società sui conti 2012 e 2013.

I ricavi crollano

Poi la voragine dei conti. In dieci anni il fatturato del gruppo si è dimezzato passando  da 12 a circa 6,5 miliardi. Nel frattempo le perdite si sono moltiplicate. Con l’eccezione di un modesto utile a fine 2019, tutti gli esercizi si sono chiusi in rosso dal 2013, accumulando la bellezza di 5 miliardi di perdite. L’ultima amara sorpresa a febbraio del 2022, con l’annuncio che la commessa per un impianto eolico in Scozia aveva generato un buco di 500 milioni. Un incidente che si aggiungeva ad una disgrazia: un lavoro da 3,6 miliardi in Mozambico era stato fermato vista la pericolosa situazione politica. Un’autentica beffa per il mercato considerando che a ottobre il neo amministratore delegato Francesco Caio aveva comunicato stime di tutt’altro tipo.

La lunga crisi di Saipem

La crisi viene, comunque, da lontano di Saimpem. Il  gruppo non ha saputo adeguarsi ai cambiamenti. Ha risposto al calo strutturale delle entrate, coinciso con il calo del prezzo del petrolio, tagliando listini e profitti, pur di non ridurre la presenza sul mercato in attesa di una svolta arrivata troppo tardi.  Il passaggio dal petrolio alle energie alternative per il momento ha prodotto dolori. L’obiettivo di trasferire l’innegabile know-how del gruppo dai petroliferi alle rinnovabili è stato frustrato dal calo dei costi (e dei margini). L’aumento delle materie prime e i problemi della logistica hanno fatto il resto

La gestione di Francesco Caio

Fin qui la crisi industriale, difficile ma non insolubile, vista la qualità degli uomini. Ma l’entrata a gamba di tesa di Francesco Caio, presidente dal 2018 e ai vertici operativi dal 2021, solleva nuovi problemi di governance considerando la girandola di vertici alla testa della società. Da ultimo il commissariamento dell’amministratore delegato  Francesco Caio con la nomina di Paolo Calcagnini (provenienza Cdp) alla carica di direttore finanziario e Alessandro Puliti (provenienza Eni) direttore generale. Dovranno chiudere un abisso costato 20 miliardi al mercato e un altro po’ di credibilità del made in Italy di Stato.