Le squadre di calcio italiane evitano il crac grazie al governo
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Sport Lun 10 ottobre 2022

Le squadre di calcio italiane evitano il crac grazie a un aiuto da 900 milioni del governo

Le società piangono, ma hanno evitato il crac grazie a un aiuto da 900 milioni del governo tra rivalutazioni e stadi. Le squadre di calcio italiane evitano il crac grazie a un aiuto da 900 milioni del governo una partita di calcio
Redazione Verità&Affari
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Come le squadre hanno salvato il bilancio

Mentre con il cappello in mano invocano a ogni piè sospinto la ciambella salvifica dello Stato, prima per il Covid ora per le bollette salate dell’energia, i padroni del dissestato calcio italiano dimenticano con disinvoltura che di aiuti ne hanno già avuti e tanti. Il più eclatante e che viene sottaciuto da presidenti e ad delle squadre di calcio è quello della rivalutazione dei beni d’impresa che il governo ha concesso, in piena stagione pandemica, con il Dl Agosto convertito nella legge 126 dell’ottobre del 2020. Un provvedimento che serviva ad ammortizzare a livello di capitale l’erosione di patrimonio in virtù delle perdite che molte imprese hanno subito sotto i lockdown.

L’azienda calcio non se lo è fatto ripetere due volte e quasi tutti i club ne hanno pesantemente approfittato. Secondo una dettagliata inchiesta del sito Calcioefinanza i club maggiori avrebbero rivalutato patrimonialmente beni, dai marchi, agli immobili persino calciatori per la bellezza di 935 milioni di euro. Una cifra record che ha permesso ai club di irrobustire a gratis i claudicanti bilanci solo con una manovra contabile. Un tratto di penna et voilà, società con patrimoni in forte passivo si sono ritrovate con capitali tornati miracolosamente in positivo.

I numeri delle società di calcio

Tanto per dare un’idea della portata dell’aiutino concesso dal governo, quegli oltre 900 milioni di maggior capitalizzazione valgono di più dell’intera dotazione patrimoniale di tutto il calcio professionistico (serie A, B e C) della penultima stagione 2020/2021.

Secondo i dati del Rapporto Calcio della Figc predisposto da PWc, il patrimonio netto di tutti i club del calcio professionistico valeva nella penultima stagione solo 786 milioni di euro. Ed è la stagione in cui l’azienda calcio ha lasciato sul terreno la bellezza di 1,2 miliardi di perdite secche. Un trend che il Covid ha accelerato in negativo e che porta la striscia delle perdite cumulate di serie A, B e C alla cifra di oltre 2,6 miliardi di rosso nel conto economico nelle ultime cinque stagioni. Segno, al di là del Covid, che strutturalmente l’azienda calcio è con più di un piede oltre la soglia del fallimento.

Ebbene senza l’aiuto meramente contabile (non sono entrati soldi veri nei bilanci) da oltre 900 milioni, l’intero calcio professionistico avrebbe patrimoni sotto lo zero. E con patrimoni in rosso difficile andare avanti. Anche perché già prima del miracolo dell’operazione contabile, il calcio aveva (e ha) una situazione finanziaria da brividi. I debiti complessivi per le serie professionistiche sono saliti a 5,38 miliardi nella penultima stagione e valgono tra le sette e le otto volte il capitale complessivo dei club. Una leva finanziaria spaventosa tra l’altro in continua progressione. Cinque anni prima i debiti erano di 4 miliardi. In cinque anni il calcio ha cumulato altri 1,4 miliardi di debiti.

Milan, Inter e Udinese

L’inchiesta di CalcioeFinanza (qui sopra la tabella con le squadre e i valori rivalutati) svela sia importi che anedottica delle varie squadre. Il Milan, l’ultima in ordine di tempo ad abbellire il suo stato patrimoniale, ha rivalutato con l’ultimo bilancio il suo marchio per 200 milioni di euro. Il valore precedente risaliva al 2005 ed era pari a 35 milioni. Calcioefinanza rileva anche che «l’Inter nel bilancio 2020/21 ha rivalutato marchio e library per 212 milioni di euro circa, con una riserva di rivalutazione (al netto delle relative imposte differite) pari a oltre 203 milioni. Complessivamente, quindi, dal patrimonio netto negativo per 36,949 milioni al 30 giugno 2020, l’Inter al 30 giugno 2021, nonostante una perdita consolidata negativa per oltre 245 milioni, aveva un patrimonio netto positivo per 53,451 milioni».

E così ecco che con un colpo di penna la magia è fatta. Il capitale cambia segno e passa da un pesante rosso a un saldo positivo. Il caso più eclatante di fantasia contabile creativa riguarda l’Udinese che ha rivalutato ogni cosa possibile. Nella cifra record di 233 milioni di euro, in un colpo solo, la società friulana ha alzato il valore non solo del marchio ma anche dello stadio, degli immobili e infine anche del calciatore De Paul. La rivalutazione dei beni, grazie al decreto del governo vale solo per le società che adottano i principi contabili italiane e ha visto esclusa la Juventus che adotta i principi contabili internazionali.

L’altro dono

Oltre al regalo governativo che ha rimpinguato contabilmente i patrimoni ai minimi se non negativi, l’azienda del pallone ha goduto della sospensione più volte prorogate dei versamenti tributari e contributivi. Una bella boccata d’ossigeno per i club che ha voluto dire non versare nei tempi previsti quasi 1 miliardo tra tasse e contributi previdenziali.

Ora però arriva il redde rationem con la scadenza di metà dicembre, in cui i club dovrebbero regolarizzare le pendenze con il Fisco italiano e l’Inps. E c’è da scommettere che partirà l’ennesimo appello (al nuovo governo) per una richiesta di nuova proroga, oltre che agli appelli già partiti per i sostegni alle bollette. Pensate che in questo lasso di tempo i club abbiano usato le garanzie concesse per risanare i loro conti? Una pia illusione.

Da libri in tribunale

Come ormai dovrebbe essere noto a tutti, il calcio si è data nel tempo un’immagine imprenditoriale. Ma è poco più di una verniciatura di comodo. Con costi, solo per giocatori e tecnici che valgono dal 70 all’80% dei ricavi, quasi impossibile chiudere non in perdita ogni anno. E mentre un’azienda normale se vede calare i ricavi taglia immediatamente i costi, il calcio fa il contrario. La pandemia ha abbassato certo i ricavi da stadio, ma i costi non si sono mai fermati nella corsa verso l’alto. Lo stesso Report Calcio della Figc lo documenta. La penultima stagione, in piena crisi Covid, ha visto i ricavi scendere del 3,3%, ma il costo del lavoro salire del 18,4%. Un bel modo lungimirante di fare impresa. E si vede anche post-Covid.

La Juve ha chiuso l’ultima stagione con il passivo più alto di sempre a 254 milioni di euro, bruciando con le perdite dell’anno prima quasi del tutto i 700 milioni di aumenti di capitale degli ultimi 2 anni. L’Inter pur con perdite in decrescita ha chiuso il bilancio a giugno del 2022 con 140 milioni di perdite e viaggia con la zavorra di oltre 700 milioni di debiti sul groppone. Il Milan le ha quasi dimezzate, ma pur sempre di perdite di tratta a quota 66 milioni di euro. Il Napoli, oggi in cima alla classifica di serie A, ha chiuso la penultima stagione con una perdita di 58 milioni, un fatturato di 174 milioni su cui il solo costo del lavoro si è portato via 154 milioni.

Per non parlare della Roma, uscita dalla Borsa da pochi giorni e che ha un bilancio pietosissimo fatto da debiti (per lo più con i padroni americani, i Friedkin) che a luglio del 2022 erano di 353 milioni di euro a livello consolidato e che ha chiuso il semestre a dicembre del 2021 con 113 milioni di perdite, solo 82 milioni di ricavi e ben 235 milioni di patrimonio in rosso. E se si pensa che il Covid abbia insegnato qualcosa ci si sbaglia. Calciomercato a prezzi folli, stipendi senza tetti, perdite che proseguono, debiti alle stelle, bilanci da fallimento. Ma con il cappello in mano sempre a chiedere sostegno alla mano pubblica.

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