Tim, il rebus delle offerte e i guai del Polo strategico nazionale
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Primo pianoTlc Mar 14 marzo 2023

Tim, il rebus delle offerte e i guai del Polo strategico nazionale

Il cda della compagnia potrebbe prendere tempo. Non è esclusa la richiesta di un ritocco per Cdp-Macquarie. Ipotesi di intesa a tre con Kkr Tim, il rebus delle offerte e i guai del Polo strategico nazionale Pietro Labriola, amministratore delegato di Tim
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

La partita della rete unica è nelle mani del consiglio

Anzi no. Visto che poi “il governo valuterà quando sarà di sua competenza” come ha spiegato il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, a margine di una conferenza su “Il Soft Power dell’Italia”. Il messaggio dell’esecutivo nel giorno antecedente il cda di Tim non è particolarmente confortante.  Soprattutto perchè uno degli attori in gioco è Cdp, braccio finanziario dello Stato, nonchè azionista sia di Tim che della rivale Open Fiber. Ciononostante il mercato spera in una soluzione. Lo testimonia il fatto che a Piazza Affari l’azione dell’ex monopolista pubblico delle tlc ha guadagno poco più del 2% attestandosi a quota 0,31 euro.

Le attese restano comunque elevate per una riunione in cui i consiglieri dovranno valutare le due offerte sul tavolo: quella di Kkr e quella del tandem Cdp-Macquarie. Le due proposte sono vicine (circa 20 miliardi). Tuttavia la prima ruota attorno alla valutazione di Fibercop, società della rete controllata da Tim e partecipata da Kkr; la seconda attorno a quella di Open Fiber, azienda controllata da Cdp e dal fondo Macquarie. Il tutto in un conflitto d’interessi delle parti in gioco su cui vigila il comitato interno a Tim per le operazioni con parti correlate.

Il consiglio potrebbe chiedere un ritocco al rialzo dell’offerta di Cdp-Macquarie. Ma non è escluso che il cda prenda tempo dal momento che le offerte scadranno a fine mese. Tempo che potrebbe essere utilizzato da Kkr, Cdp e Macquarie anche per immaginare una proposta a tre sulla falsariga di quanto accaduto nel caso di Autostrade per l’Italia al momento dell’uscita di scena dei Benetton.   

Il redde rationem con il socio francese Vivendi è fissato per il 20 aprile

Qualunque sia la decisione del consiglio, la scelta dovrà poi passare il vaglio del governo che ha in mano i poteri speciali sugli asset strategici (il cosiddetto Golden power) e dovrà ottenere il via libera di Vivendi, il maggior socio di Tim, attualmente non presente in cda. In occasione della presentazione dei risultati 2022, l’azionista francese ha chiarito che intende essere “un socio molto attivo”.

Detta in altri termini, la società che fa capo alla famiglia Bolloré intende fare di tutto per “far emergere il reale valore dell’azienda”. E della sua rete che, secondo i francesi, vale 31 miliardi, cifra ben al di sopra delle due offerte sul tavolo dell’ex monopolista pubblico. Vivendi ha in mano quasi il 24% di Tim, ma sul mercato c’è chi è pronto a scommettere che altri fondi potrebbero sposare la tesi dei francesi in assemblea mettendo in difficoltà l’amministratore delegato di Tim, Pietro Labriola, e facendo saltare il banco per entrambe le proposte nell’assemblea prevista per il 20 aprile. 

La tensione è elevata. Non potrebbe essere altrimenti visto che la campagna d’Italia è costata cara al gruppo Bolloré. Il colosso francese ha archiviato l’esercizio 2022 con ricavi in crescita del 20% a  20,67 miliardi di euro. L’utile si è attestato a 3,4 miliardi, contro gli oltre 6 del 2021. Ma sulla flessione ha inciso il deconsolidamento di Tim per 1,49 miliardi bilanciato in parte dalla plusvaleza da 3,5 miliardi registrata nella cessione di Bolloré Africa Logistic alla Msc della famiglia Aponte

La grana del Polo strategico nazionale

Il Tar del Lazio ha accolto buona parte delle doglianze di  Fastweb-Aruba nel ricorso contro la presidenza del consiglio per la vittoria dell’offerta di Tim-Cdp-Leonardo-Sogei per il cloud nazionale. E cioè un’infrastruttura che rappresenta un riferimento  per la Missione 1 del Pnrr e prevede oltre 900 milioni di investimento.Per i magistrati amministrativi, la proposta della cordata capitanata dall’ex monopolista pubblico è inamissibile per due aspetti tecnici.

Innanzitutto l’offerta non rispetta la distanza minima fra i data center delle Regioni del Sud (Acilia e Pomezia) e quelli del Nord (Rozzano e Santo Stefano al Ticino). In secondo luogo, il progetto non risponde ai parametri di sicurezza sismica richiesti dall’amministrazione. In particolare il data center di Pomezia si trova in una zona con smisicità superiore rispetto a quanto previsto dalle regole di gara. 

Pur essendo inamissibile l’offerta della cordata di Tim, il Tar non ha potuto invalidare il contratto di aggiudicazione per via delle nuove regole previste per gli appalti del Pnrr. Tuttavia il giudice ha riconosciuto un danno parziale al tandem Fastweb-Aruba pari al 35% dei mancati utili che dovrà certificare un terzo valutatore. Secondo alcune stime, il risarcimento per la cordata esclusa potrebbe arrivare fino a 500 milioni. La partita naturalmente non è ancora chiusa dal momento che si attende il ricorso del governo al Consiglio di Stato.

Ma la dice lunga su come sia stata gestita la partita del Polo strategico nazionale contro cui si sono mosse anche le partecipate regionali del cloud. E che rappresenta per Tim un importante driver di crescita in un mercato delle telecomunicazioni particolarmente aggressivo e con margini progressivamente in calo per gli operatori. Un altro nodo con cui Tim dovrà fare i conti nel caso in cui il governo sosterrà il modello federato del cloud, come annunciato dal sottosegretario all’innovazione tecnologica, Alessio Butti.  

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