Tim, rischio stallo: pochi giorni per decidere sulle offerte - V&A
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Primo pianoTlc Lun 06 marzo 2023

Tim, rischio stallo: una manciata di giorni per decidere sulle offerte

Il consiglio del 15 marzo esaminerà le due offerte. Intanto dietro le quinte si studia l'accordo a tre. Governo e Vivendi permettendo Tim, rischio stallo: una manciata di giorni per decidere sulle offerte SEDE TIM TELECOM
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

L’impasse è dietro l’angolo

Due offerte sul tavolo e nessuna delle due potrebbe andare in porto. Il motivo? Il terzo incomodo, il socio francese di Tim, Vivendi, vuole un assegno più consistente per dare il suo via libera alla separazione della rete dai servizi di telefonia con le successive nozze del network dell’ex monopolista con quello della rivale Open Fiber. Non bisognerà attendere molto per vedere se la quadratura del cerchio riuscirà. E se è vero. come riferiscono indiscrezioni di mercato, che Cdp, Macquarie e Kkr potrebbero accordarsi nel tentativo di chiudere la partita.  L’operazione potrebbe cioè ricalcare quanto già realizzato su Aspi in occasione dell’ uscita di scena dei Benetton.  Sempre che il governo dia il suo benestare. Aspetto, quest’ultimo, che non è affatto scontato come testimonia l’assordante silenzio dell’esecutivo.

I tempi sono stretti: il consiglio di Tim dovrebbe esaminare le proposte il prossimo 15 marzo. Per quella data è prevista l’approvazione del progetto di bilancio d’esercizio 2022 in vista dell’assemblea fissata per il 20 aprile. Sarà quella per i soci l’occasione giusta anche per valutare l’operato dell’amministratore delegato, Pietro Labriola, la cui poltrona traballa.

Lo scenario è estremamente complesso

Intanto il titolo a Piazza Affari ha guadagnato poco più del 3% piazzandosi a quota 32 centensimi, ben lontano dai 50 centesimi offerti  a novembre 2021 dal fondo americano Kkr. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti senza che la politica sia riuscita a trovare una soluzione per salvare Tim, mettere in sicurezza i debiti ed creare una rete unica, con il contributo di Open Fiber. Possibilmente sotto il controllo pubblico, come vorrebbe il governo di Giorgia Meloni. Il problema però è che più il tempo scorre invano, più la situazione finanziaria di Tim diventa tesa.

Se è vero che nel 2022 i riicavi da servizi a livello di gruppo solo lievitato dell’1,3% a  14,6 miliardi, è altrettanto vero che i debiti sono rimasti inchiodati a quota 20 miliardi. E che la redditività si è deteriorata come mostra una flessione del 6,7% dell’ebitda organico. La situazione è ancora più complessa in casa Open Fiber, controllata da Cassa Depositi e Prestiti e dal fondo australiano Macquarie: la società è in ritardo sui piani di cablatura da realizzare con i fondi pubblici messi a bando da Infratel e ha anche recentemente chiesto ai soci 400 milioni per portare avanti il progetto.   

Le due proposte hanno diversi elementi di somiglianza

L’offerta depositata lo scorso 2 febbraio da Kkr ha la stessa cifra di quella del tandem Cdp-Macquarie: 20 miliardi. Ma sono i dettagli a fare la differenza. Innanzitutto è diverso il perimetro: la proposta di KKr include FiberCop, e cioè la società che ha in pancia l’ultimo miglio della rete Tim e di cui il fondo ha già il 37,5%, oltre ai cavi internazionali di Sparkle. Come ha riferito Il Messaggero, tutto ruota attorno alla valutazione di FiberCop che per Kkr ammonta 12,5 miliardi. Per il duo Cdp-Macquarie, invece, la società varrebbe di meno e quindi, a parità di proposta, ci sarebbero fra i 2 e i 2,5 miliardi di cassa in più che andrebbero ad abbattere il debito di Tim.

Inoltre, nell’offerta di Cdp e Macquarie ci sarebbero paletti meno rigidi per il raggiungimento dei target che fanno scattare la quota di 2 miliardi sulle cosiddette clausole di earn-out. Infine, la proposta del braccio finanziario dello Stato non prevede il passaggio di 5mila dipendenti nella società di servizi di telefonia, come nel caso della proposta di Kkr.

Entrambe le offerte hanno vita breve: quella di Cdp scadrà il 31 marzo, poco dopo quella di Kkr che ha come deadline il 24 marzo. In entrambi i casi, va detto, la cifra è molto lontana da quanto immaginato da Vivendi che ritiene la rete Tim valga 31 miliardi. Quanto basta per uno stallo. Soprattutto se Vivendi, che ha poco meno del 24% di Tim, riuscisse a raccogliere attorno a sé altri azionisti che la pensano come lei, creando così di fatto una minoranza di blocco. 

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