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ApprofondimentiTurismo Mer 31 maggio 2023

Ddl affitti brevi, il nodo del soggiorno minimo. Airbnb: tutelare i proprietari

Il decreto impone almeno due notti di permanenza per le località turistiche. Ma sono solo il 5% delle locazioni Ddl affitti brevi, il nodo del soggiorno minimo. Airbnb: tutelare i proprietari Il ministro del turismo, Daniela Santancé
Maddalena Camera
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Maddalena Camera

Ddl affitti brevi, il nodo del soggiorno minimo

Parte la “mission impossible” dell’ufficio legislativo del ministero del Turismo, guidato da  Daniela Santanchè, per regolamentare gli affitti brevi. Il ministero ha preparato e condiviso con gli operatori del settore il decreto che punta a “fornire una disciplina uniforme a livello nazionale sugli affitti brevi. Volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”.

Secondo Airbnb, il maggior operatore mondiale degli affitti brevi, “permangono alcuni dubbi su limitazioni che andrebbero a colpire la piccola proprietà privata. Anche alla luce del proposta di un regolamento Ue in materia”. Airbnb comunque ha sottolineato che “l’armonizzazione nazionale dei codici di registrazione è benvenuta. Perché  garantisce un contesto più lineare a chi affitta l’immobile di famiglia per far quadrare i conti e permette alle autorità di accedere alle informazioni necessarie per contrastare gli abusi”. Airbnb comunque spera “di poter fornire il suo contributo al tavolo di lavoro”.

Tra le novità l’articolo 3 che parla di Codice identificativo nazionale per contrastare  la frammentazione rispetto ai venti Codici identificativi regionali (Cir) attualmente esistenti. Sarà obbligatorio anche per le Ota (online travel agency, le agenzie turistiche online). E sono definite delle sanzioni, con l’articolo 6, a carico di tutti i soggetti (Ota, proprietari e property manager) che lo disattendano.

Soggiorno minimo di due notti

Inoltre con l’articolo 4 (limitazioni delle locazioni per finalità turistiche) si introduce un soggiorno minimo di due notti per i Comuni ad alta densità turistica che, secondo Istat, sono poco meno di un migliaio sui 78.882 comuni italiani. Insomma l’affitto breve non è un albergo, anche se questo è già sottinteso dato che non vengono forniti servizi di ristorazione per i quali bisogna avere  una autorizzazione da Bed&Breakfast.

Gli affitti di una notte sono il 5%

C’è però una eccezione. Le famiglie numerose identificate da un genitore e tre figli che potranno ancora prenotare una notte soltanto nelle case promosse online  nei comuni ad alta densità turistica. Secondo Marco Celani, ad  di Italianway e presidentedi Aigab l’associazione italiana gestori affitti brevi , il numero di soggiorni di una notte pesa all’incirca un 5% del valore delle prenotazioni del settore. «L’impatto economico di questa misura è sicuramente depressivo – ha detto Celani interpellato dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore -. Solo una parte verrà recuperata dal mondo alberghiero e un’altra si trasformerà in allungamento di pernotti altrove o in nero. Inoltre anche per le famiglie numerose sarà difficile pernottare una notte, dal momento che chi si adeguerà alla normativa applicherà un minimum stay di due notti e sul mercato non si dovrebbe più trovare la possibilità di soggiornare due notti perché nessuno potrà, anche per motivi di privacy, verificare la consistenza dei nuclei familiari”.

Il property manager

Il ddl apre la strada al riconoscimento ufficiale della figura del property manager  confermando l’obbligatorietà per gli stessi di agire da sostituto d’imposta, raccogliendo e versando per conto dei proprietari la cedolare secca. Un obbligo che in realtà c’è già ma che crea perplessità nei proprietari che si interrogano se le piattaforme versino veramente la tassa allo stato. Un altro problema è che l’importo da tassare per gli affitti brevi è lordo, comprende cioè tutte le spese (condominio, utenze e tasse rifiuti) e dunque anche la cedolare secca al 21% rappresenta un onere impossibile da sostenere, in questa forma,  per i proprietari.

Il codice identificativo nazionale

Un elemento di novità, sotto la lente degli operatori, è che il Ddl stabilisce che il codice identificativo nazionale sostituisce quello regionale. Affermando la supremazia del Ministero del turismo a centralizzare l’attività di raccolta informazioni, anche se rimangono le regioni i soggetti che dovranno concedere i Cin. Mentre saranno i comuni a dover controllare l’applicazione del Cin su tutte le piattaforme e su tutti i canali di promozioni, incluso il portone dell’immobile.
In tema di sanzioni, non esporre il Cin per ogni annuncio costerà all’host, al gestore o alla piattaforma da 300 a 3mila euro. Mentre il proprietario privo di Cin rischierà una sanzione da 500 a 5mila euro. Il controllo e la sanzione spetteranno ai vigili comunali o alla polizia. Infine, l’articolo 5, se correttamente interpretato, stabilisce il riconoscimento formale del ruolo del gestore professionale. Non tanto con l’obbligo di segnalazione certificata di inizio attività, già in vigore dal 1990 e assolto dai gestori professionali. Ma con la richiesta all’Istat di fornire un codice Ateco specifico che identifichi la categoria.

 

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