Pensioni, Brambilla: "Lo stop alla rivalutazione è ingiusto"
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ApprofondimentiEconomia Dom 03 settembre 2023

Pensioni, Brambilla: "L’evasione dei contributi è il vero problema"

Per il professor Brambilla (Itinerari previdenziali) sul tema pensioni il governo sbaglia. Il blocco delle rivalutazioni è una sforbiciata del 10%. "In dieci anni la mancata rivalutazione toglierà dalle tasche di queste persone 37 miliardi" spiega Pensioni, Brambilla: "L’evasione dei contributi è il vero problema" Pensioni in Italia
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Sulle pensioni i numeri non tornano. Il tema non è solo la spesa complessiva che pure incide sui conti dello Stato, ma la presenza di 7,5 milioni di pensionati su un totale di 16 milioni che sono totalmente o parzialmente assistiti perché in circa 67 anni di vita non hanno mai versato o versato pochi contributi. A loro, a differenza di quanto accade nel resto d’Europa, nessuno chiede quali siano le ragioni della mancata contribuzione. Eppure, il governo promette a questi pensionati un aumento dell’assegno a 600 euro, mentre studia lo stop alla rivalutazione delle pensioni di chi ha versato anni di contribuzione e questo non è un buon esempio per incentivare i giovani a versare, soprattutto quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996. E cioè a partire dai cinquantenni di oggi a scendere.

“Se verrà adottato il blocco delle rivalutazioni, per i pensionati ci sarà una perdita del 10% del potere d’acquisto. In dieci anni la mancata rivalutazione toglierà dalle tasche di queste persone 37 miliardi” spiega il professor Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari previdenziali. Nella sua visione la scelta del governo di puntare sulla decontribuzione non è oculata e rischia di costare cara in futuro.

Alberto Brambilla

“Stante le difficoltà nel reperire le coperture, la decisione dell’esecutivo di puntare sulle decontribuzioni potrebbe determinare fino a 11 miliardi di ammanco nei conti dell’Inps solo per quest’anno” chiarisce, evidenziando come si tratta di soldi che poi lo Stato restituisce con i trasferimenti fatti annualmente con la legge di bilancio, usando i soldi degli altri cittadini o a debito. “Mi sembra una manovra pericolosissima che in cinque anni potrebbe costare all’istituto previdenziale fino a 60 miliardi. Altro che riforma delle pensioni. C’è un rischio per la stabilità dei conti” prosegue.

La scelta di scommettere sul taglio del cuneo sui redditi bassi non è dunque indolore

Ma porta in dote un peso notevole per la contabilità pubblica degli anni futuri. “Meglio sarebbe se a pagare fossero gli imprenditori. Non è pensabile che l’Italia sia il fanalino di coda nell’aumento dei redditi da lavoro. Di fatto negli ultimi trent’anni noi abbiamo avuto una perdita di potere d’acquisto reale dei salari e dei redditi, mentre tutti gli altri Paesi hanno registrato un aumento. Chi è andato male, ha fatto almeno un +5%, ma la media è intorno al +25-30%. La Germania e la Francia hanno fatto molto di più” continua.

“Non si capisce che cosa facciano le parti sociali. I contratti li devono fare i sindacati dei lavoratori e la Confindustria e le associazioni datoriali. Ci si lamenta che le pensioni sono basse, ma se i salari sono bassi, non è che le pensioni possono moltiplicare il peso dei salari” sottolinea. Il discorso non fa una piega dato che il sistema pensionistico italiano prevede che i soldi per pagare gli assegni previdenziali di oggi vengano dai contributi di chi è attualmente al lavoro.

Ma quali sono gli interventi che il governo è in grado di realizzare sulle pensioni?

Lo spazio di manovra è assai stretto. Soprattutto se si considera che l’esecutivo ha optato per la decontribuzione. “Credo che, lato pensioni, se va bene, l’esecutivo farà una proroga di quota 103, che non costa poi molto. Ci sarà probabilmente una proroga a tutto il 2024 di Ape sociale che tutto sommato non ha un costo elevato, nonostante l’introduzione da parte del Pd dei cosiddetti lavori gravosi, sperando che questo governo non vada nella scia del Pd aumentando l’elenco di questa categoria, come vorrebbe Landini. Sarebbe un altro colpo per il sistema pensionistico”. In più, “forse ci sarà una riproposizione di opzione donna, ma certo non a 57/58 anni con 35 di contributi, pur con le finestre” aggiunge, ipotizzando la soglia dei 60 o dei 61 anni. Per il resto, secondo Brambilla, non ci sarà riforma strutturale delle pensioni.

La rivalutazione delle pensioni resta un punto doloroso

“Non mi sarei mai aspettato l’ipotesi di un blocco delle rivalutazioni da un governo di centrodestra. Me lo sarei atteso da Landini, da Letta, dai 5Stelle perché per loro il merito e il senso del dovere è un optional e quindi bisogna dare tutto ai redditi fino ai 25mila euro; non importa se hanno pagato tasse e contributi. C’è una linea immaginaria in Italia che è i 35mila euro che al di sopra della quale, questi poveri cristi che versano un sacco di tasse non hanno benefici. Il 13% della popolazione italiana paga più del 60% dell’Irpef e quasi tutta l’Irap, l’Ires e buona parte delle imposte sostitutive. Il 13% della popolazione rappresenta ormai il rimasuglio della classe media che è sbeffeggiata ovunque” aggiunge.

Se come annunciato dal ministro Giancarlo Giorgetti, l’inflazione 2022 si attesterà attorno al 10%. Così “se va tutto bene, chi ha una prestazione sopra cinque volte il minimo (2.500 euro lordi circa, ndr) avrà una rivalutazione del 3%. Vuol dire che nel 2023 il governo di Meloni e Giorgetti ha penalizzato le pensioni di quelli che davvero hanno versato i contributi riducendone il potere d’acquisto di almeno il 7%. Credo che anche quest’anno, con un’inflazione del 5,5%, proseguiranno in questa operazione su cui mi auguro intervenga la Corte Costituzionale” spiega.

La politica vuole favorire chi non ha mai versato un contributo

“Intanto Forza Italia pensa a portare le pensioni minime si pensa a portare le pensioni minime, e cioè quelle di chi mai ha versato un contributo, a 600 euro. Siamo in un Paese in cui se per tutta la vita, non versi contributi, o versi poco o evadi, o hai lavorato nella mafia, a 67 anni ti ricordi che esiste l’Inps e lo Stato. Così chiedi e ottieni la pensione sociale” precisa. E che cosa fa lo Stato italiano? “In Francia, in Germania, in Svizzera in Olanda chiederebbero conto di come mai non ci sia nemmeno un contributo versato. Si tratta di invalidi? E no perché ci sono già oltre 4 milioni di invalidi che hanno pensione e spesso anche l’indennità di accompagnamento. Da noi non si fanno domande. Arriva uno sconosciuto al Fisco e nessuno chiede nulla e lo Stato paga a piè di lista” aggiunge.

E’ una scelta politica finalizzata al consenso, senza nessuna equità

“Nel nostro Paese oltre 800mila persone che beneficiano della pensione o assegno sociale e altri 4 milioni che hanno integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali perché in 67 anni di vita non hanno mai pagato o pagato meno di 15 anni di tasse e contributi allo Stato. Mi sarei aspettato che Forza Italia, un partito che si dice liberale, prendesse atto di questa situazione che costa ogni anno, comprese le invalidità, oltre 47 miliardi l’anno; e invece continua a chiedere aumenti per queste pensioni e non dice nulla sull’immorale taglio del potere d’acquisto delle pensioni sopra 5 volte il minimo che quest’anno supererà il 10%. E’ d’accordo a tagliare le rivalutazione a quelli che hanno versato i contributi all’Inps e di metterli sulle minime? Capisco il punto di vista politico: è meglio far contento il 70% che vota e bastonare il 13% che paga e che, anche se vota, sono meno del 70%. Ma se questa è giustizia, non so” chiarisce Brambilla.

Il tema centrale restano evasione e controlli

“Ci sono 4 milioni di pensioni integrate al minimo o che hanno la maggiorazione sociale. Per avere la pensione minima basta avere versato almeno 15 anni di contributi. Ora, mi chiedo, un lavoratore in 47 anni, supposto che abbia iniziato a lavorare a 20 anni, avrà versato per almeno 15 anni? E invece no. Abbiamo 16 milioni di pensionati, di questi 7,5 milioni sono o totalmente o parzialmente assistiti, cioè una cifra spropositata che riflette il primo posto assoluto che l’Italia ha in Europa, come evasione fiscale e contributiva” sottolinea. Il confronto con il resto d’Europa è inclemente.

“Come quota di evasione fiscale con 59 milioni di abitanti distanziamo di gran lunga la Germania che ha 82 milioni di abitanti. A me piacerebbe che la politica ragionasse su questi dati semplici che hanno in mano grazie ai bilanci dell’Inps, alla Nadef e al Def. Penso che anche quest’anno l’inflazione chiuderà ad una media del 5,5% e quest’anno la rivalutazione la faranno come l’anno scorso. E cioè la peggiore rivalutazione di tutti i tempi. È identica a quella del governo Conte I e II, non va per fasce, non è progressiva sulla base di scaglioni. Ma in più rispetto al caso Conte, subisce anche l’impatto dell’inflazione” conclude. Con un invito alla politica: analizzare seriamente la questione previdenziale senza lanciarsi in interventi iniqui e capaci di danneggiare ulteriormente il sistema e le casse pubbliche.

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