Butti: «Sull’Ia abbiamo fissato poche norme essenziali" - V&A
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Tech/Apertura
AperturaTech Sab 03 febbraio 2024

Butti: «Sull’Ia abbiamo fissato poche norme essenziali. Il resto lo farà il  mercato»

Il sottosegretario: «L’ok alla norma rafforza la democrazia. Su intelligenza artificiale e cloud conviene affidarsi alle aziende, sanno investire al meglio». Butti: «Sull’Ia abbiamo fissato poche norme essenziali. Il resto lo farà il  mercato» ALESSIO BUTTI , sottosegretario con delega all'innovazione
Claudio Antonelli
di 
Claudio Antonelli
Bruxelles ha approvato il secondo step della legge sull’intelligenza artificiale. Obiettivi dichiarati più sicurezza e tutela delle persone. Le deleghe per l’Italia sono in capo al sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti.
Senatore, come è andato il voto?
«Si è concluso con successo, riflettendo un consenso unanime tra gli Stati membri. Grazie a un’intensa fase di negoziazioni e al lavoro di diplomazia svolto, anche in collaborazione con i nostri partner europei, siamo riusciti a superare alcune divergenze iniziali e a consolidare il sostegno per l’approvazione del regolamento. L’Italia  ha svolto un ruolo cruciale nel guidare e sostenere il processo, assicurando che la posizione espressa fin dall’inizio, incentrata sulla necessità di un quadro normativo chiaro e robusto per l’intelligenza artificiale, trovasse  accoglienza favorevole».
Nel dettaglio cosa si aspettava?
«L’esito positivo del voto è in linea con le aspettative. Vogliamo stabilire il primo standard globale per la regolamentazione dell’intelligenza artificiale che possa servire da modello anche a livello internazionale».
Quale è il punto di caduta tra regolamentare e lasciare spazio a start up e business?
«Bisogna intendersi su cosa voglia dire lasciare spazio al mercato. Il concetto di libero mercato non vuol dire operare in una giungla e infatti anche nei Paesi più competitivi abbiamo vincoli antitrust spesso rigidi. Le regole non sono qualcosa da cui fuggire. Anche chi produce prodotti alimentari o dentifrici, ad esempio, deve sottostare a precise norme e regolamenti. Un quadro normativo per l’Ia è del tutto normale, se si pensa alla enorme potenza delle soluzioni. In questo ambito le regole non mortificano il mercato, ma lo supportano. Infine, le regole  contribuiscono a rafforzare la democrazia».
Che rischi vede nel percorso del testo da oggi fino al 24 aprile, data del voto finale in Parlamento?
«Non intravedo particolari resistenze. È vero, la Francia ha manifestato l’intenzione di voler rallentare il percorso delle norme e rivedere alcuni termini. Si è detto la stessa cosa di Berlino, eppure nelle ultime ore abbiamo visto come in Germania sono cadute molte resistenze e, sono certo, la stessa cosa accadrà a Parigi».
In un recente evento ha avuto modo di affrontare il tema dell’open source. Se capisco bene ne ha elogiato il modello. L’aprire può essere una opportunità, ma anche un rischio. Controllo? Verifiche?
«Una storia antica. Lo stesso dilemma si era proposto in ambito informatico trenta anni fa, dando luogo ad una doppia corsia che ha visto correre in modo parallelo software proprietari e software open source. L’Ia, dal canto suo, si è sviluppata su software proprietari e poi si è fatta strada la soluzione open source, che ha il vantaggio di codici aperti che possono essere usati, modificati, migliorati. Non a caso è nata recentemente la “AI Alliance”, promossa da Meta e Ibm, che promuove l’uso dell’open source nelle applicazioni Ia e a cui hanno già aderito decine di soggetti tra grandi e piccole imprese, università e centri di ricerca. Come fu per il software, non scatterà alcun obbligo a favore di un regime unico e avremo anche qui a disposizione una doppia corsia».
Senza cloud non c’è Intelligenza artificiale. Quale è la posizione italiana sullo sviluppo del cloud mirato al lancio dell’Ia?
«Per la verità l’Ia c’era già anche quando non c’era il cloud. Le due tecnologie ora traggono importanti vantaggi l’una dall’altra, ma si sono affermate a prescindere da questo rapporto. Ciò che serve maggiormente all’Ia è la capacità di calcolo, ancor prima del cloud. A Bologna abbiamo il Supercomputer Leonardo, il quarto al mondo per potenza, e sappiamo che la competizione sarà proprio sulla capacità di calcolo. Quanto alla posizione italiana, nel rapporto tra cloud e Ia conviene lasciar fare al mercato, perché le aziende sanno come orientare gli investimenti e valorizzare le proprie applicazioni. Ma ci sono anche ambiti in cui il supporto delle istituzioni è fondamentale. Mi riferisco all’Edge computing, ovvero alle infrastrutture decentrate di trattamento dei dati. Le abbiamo inserite nella Strategia per la Banda Ultralarga».
L’Ue dovrà prendere una decisione sul certification scheme. L’Italia non ha ancora una posizione ufficiale? Più vicina al Dutch coalition o alla Francia? Anche Mistral, il gioiellino di Macron, usa Aws nonostante promuova il sovranismo totale.
«Sullo schema di certificazione arriveremo a un punto di approdo che sarà in linea con le definizioni normative dell’Europa, un perimetro nel quale stiamo contribuendo fattivamente e all’interno del quale vogliamo far sentire la nostra posizione nazionale. Ritengo che il problema non sia la vicinanza allo schema francese, tutto pubblico, o alla coalizione olandese, fondata sulla collaborazione pubblico-privato. Il nostro obiettivo è rispettare le due parole cardine che si trovano in ascissa e in ordinata: “rispetto” verso gli utilizzatori da parte di coloro che creano soluzioni di Ia e la “fiducia” di consumatori e utenti verso coloro che offrono Ia. Quanto alla società Mistral, devo sottolineare che non si serve solo del cloud di Aws, ma anche di quello di Google, e dei propri data center. Un’ulteriore prova di come su questi temi non occorra ideologizzare le posizioni. La velocità del cambiamento e le esigenze nazionali invitano sempre alla cautela e a tenere la mente aperta».
Condividi articolo