Salone dell'auto, tutti in Cina. Così l'Europa ha perso la sfida
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AperturaAuto Mer 26 aprile 2023

Salone dell'auto, tutti in Cina. Così l'Europa ha perso anche questa sfida

Non più l'Europa, ma è la Cina il crocevia da cui oggi i produttori di automobili sono obbligati a transitare. Salone dell'auto, tutti in Cina. Così l'Europa ha perso anche questa sfida
Maurizio Cattaneo
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Maurizio Cattaneo

La fine dei Salone d’auto in Europa

Dal Salone di Torino a  quello di Shanghai è come se fosse passata un’era geologica. Invece, solo pochi decenni fa, era sotto la Mole che le Case automobilistiche esponevano i nuovi modelli di punta. Il mondo allora passava dall’Italia per quella che era una delle rassegne fieristiche più importanti del mondo. Poi errori, decisioni sbagliate, deindustrializzazione hanno fatto il gioco della concorrenza:  per arrivare a quella che, per dirla al contrario del famoso refrain di Celentano “dove c’era una città ora c’è solo l’erba” o meglio sterpaglie. Ma perchè un esempio virtuoso come la Mostra di Automobili, la cui prima edizione si tenne nel 1900 è finta un secolo dopo tra liti e carte bollate? 

Le ragioni sono molte: e riguardano la Fiat ma anche la politica industriale di un Paese. Intanto la Fiat, crogiolandosi per decenni dietro lo scudo statale di “non importazione delle straniere”, ha potuto non investire più di tanto in innovazione quando le altre case correvano. A ciò ha contribuito anche il miraggio della finanza facile che per un certo periodo prometteva maggiori introiti rispetto alla catena di montaggio.

Quando nei piani alti del Lingotto si è deciso di riconcentrarsi sull’auto, parte della frittata era fatta. Detto questo non si può gettare la croce solo su un’azienda che nel bene e nel male, ha creato centinaia di migliaia di posti di lavoro. Per quanto riguarda il sistema fieristico torinese  una grande responsabilità ce l’ha  anche il mondo politico. Mentre negli altri Paesi europei, negli Usa e in Giappone si finanziava il sistema fieristico  promuovendo l’innovazione e si investiva su infrastrutture al servizio delle esposizioni (alberghi, aeroporti e ferrovie accanto agli spazi espositivi), in Italia la Fiera continuava ad essere un grigio capannone con gli stand in spazi obsoleti.

L’Europa non più centro del mondo

Se Torino si spegneva, ecco crescere Ginevra, Parigi, Francoforte. L’Europa continuava ad essere il centro del mondo dell’auto. E i costruttori americani e giapponesi, nonostante le rassegne di casa loro, quando c’era da presentare un modello particolarmente bello ed innovativo sceglievano molto spesso la passerella del Vecchio Continente. 

La grande illusione di una “cultura dell’auto” a trazione Occidentale è  però crollata all’improvviso.  Il vento cinese ha spezzato una situazione che pareva consolidata. Il risultato? Ginevra, dopo vari annullamenti  si prepara a trasferirsi a Dubai. Francoforte è passata, armi e bagagli a Monaco di Baviera, Parigi e Detroit sono solo un decimo di quello che erano un decennio prima. Si resiste. Ma è una battaglia di retroguardia, che come tutte le linee Maginot, non promette nulla di buono.

La Cina, l’auto e poi?

Spazi immensi, stand dai contenuti tecnologici stupefacenti, brand di tutto il mondo che stanno presentando un numero infinito di novità. Dalla piccola auto elettrica a prezzi stracciati sino alla Rolls Royce che a Shanghai ha lanciato la prima “elettrica” della sua storia, è la Cina il crocevia da cui oggi i produttori di automobili sono obbligati a transitare.

La battaglia della globalizzazione passa anche attraverso un sistema fieristico, che diventa vetrina per l’intero Paese e fa da traino, in questo caso, a tutto il “made in China”. Lo sa bene il regime di Pechino.  Forse meno i burocrati a Bruxelles che sembrano intenti a mettere in difficoltà le nostre industrie. E non pensiamo solo all’auto ed al demenziale passaggio in tempi troppo rapidi al “green”. Moda, agroalimentare, meccanica, arredamento: sono queste le nostre eccellenze che oggi possiamo ancora difendere.

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