Il caso dell'italiana Airone Seafood: in Africa più facile fare impresa
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Imprese Mar 25 ottobre 2022

Il caso dell'italiana Airone Seafood: in Africa è più facile fare business

La Airone Seafood e un’azienda di Reggio Emilia che lavora a cavallo tra Italia e Africa. Ed è l’azienda italiana a capitale privato. Il caso dell'italiana Airone Seafood: in Africa è più facile fare business
Camilla Conti
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Camilla Conti

Il caso Airone Seafood

La Airone Seafood e un’azienda di Reggio Emilia che lavora a cavallo tra Italia e Africa. Ed è l’azienda italiana a capitale privato che dà maggiore impiego in Costa d’Avorio con 1.500 persone, di cui 800 donne, impegnate nella pesca sostenibile del tonno e nel lavoro negli stabilimenti produttivi. A Reggio ha la sede commerciale, logistica e finanziaria. Ad Abidjan dal 1994 si trova, invece, il sito di produzione dove ogni anno vengono lavorate 23mila tonnellate di tonno appena pescato, parliamo di circa 150 milioni di lattine o vasi che vengono esportati al 90% in Europa.

«Se avessi avuto questo sito in Italia avrei dovuto fare i conti con un aumento delle bollette energetiche insostenibile, sarei già morto», spiega l’amministratore delegato della Airone, Sergio Tommasini. Che nella gestione dello stabilimento africano deve tenere conto delle 48 etnie diverse, delle confessioni religiose (l’80% dei dipendenti è cattolico e il 20% musulmano), delle pause per le preghiere e delle differenti abitudini alimentari.

Meglio in Africa

Sulle bollette è più facile sentirsi tutelati nel fare impresa in Costa d’Avorio che qui da noi. Lo dice chiaramente Tommasini, che è anche consigliere di Confindustria Assafrica (la business community conta a oggi 120 imprese iscritte e si occupa anche di Medio Oriente). «Nella nostra sede italiana abbiamo già registrato nella bolletta di luglio un aumento dei costi di circa il 140%, se avessi dovuto fare i conti con gli stessi rincari anche nella fabbrica di Abidjan la situazione sarebbe diventata insostenibile – precisa – . In Costa d’Avorio operiamo in zona franca e questo comporta dei vantaggi competitivi, abbinati a oneri sociali che stanno particolarmente a cuore alla nostra società». «Garantiamo, per esempio, una cantina sociale, un centro medicale, menù e anche turni diversi per le diverse etnie, l’assicurazione sanitaria internazionale per i nostri dipendenti oltre ai prestiti per la scolarizzazione, avendo il 70% di dipendenti donne. Le attività verso il personale sono diverse e anche di stampo sociale, abbiamo inoltre contribuito alla costruzione di un orfanotrofio e di due scuole. Ma lo Stato ivoriano tutti gli anni ci riconosce uno sconto del 50% sulle fatture regolarmente pagate per carburante, luce e acqua», aggiunge l’ad.

Che in Africa deve dialogare anche con quattro sigle sindacali, «la Costa d’Avorio è pur sempre un paese socialista», spiega precisando che diciotto delegati che vanno informati costantemente. Il dialogo favorisce infatti l’omogeneità della composizione del gruppo di lavoro. Non è, insomma, un impegno indifferente. Fare impresa significa considerare la variegata composizione etnica del tessuto socio-economico. Eppure la collaborazione anche con le autorità locali è continua. «Per noi significa, da un lato, creare sviluppo industriale e indotto, dall’altro, tessere e consolidare relazioni virtuose allo scopo di contribuire alla crescita del territorio in cui operiamo. Verso le istituzioni c’è rispetto reciproco», aggiunge il manager dell’azienda reggiana. Che è stata presa a modello in occasione del Business Forum italo africano organizzato a settembre nella sede nazionale di Confindustria.

L’evento

La prossima settimana il Forum si terrà proprio in Costa d’Avorio, il primo porto del West Africa in particolare per quel che riguarda il tonno. Ogni anno circolano oltre 250 mila tonnellate di tonno che vengono destinate in parte al mercato locale, in parte alle società di trasformazione ed in parte sono trasferiti in altre parti del mondo. É in corso il completamento di una rete di filiera che va dalla pesca alla trasformazione e alla vendita per garantire massima qualità e sostenibilità.

Esiste già un laboratorio accreditato in cui Airone Seafood lavora tutte le materie prime e negli ultimi due anni l’azienda ha investito 5 milioni nel miglioramento dei processi produttivi sul sito di Treichville, appunto ad Abidjan. Il gruppo guidato da Tommasini ha fatto da apripista anche per altre attività in Africa occidentale che sta puntando ad attrarre investimenti.

La Costa d’Avorio, in particolare, sta lavorando da tempo a una trasformazione strutturale dell’economia per offrire prospettive stabili e reali e per costruire una nuova partnership con gli investitori stranieri. Le relazioni politiche con l’Italia sono ottime e si ricollegano anche a rapporti che si sono naturalmente consolidati attraverso i flussi migratori visto che in Italia si trova la seconda comunità ivoriana in Europa, più di 20mila ivoriani con livelli soddisfacenti di integrazione. Di certo l’Italia guarda alla Costa d’Avorio per investire nell’agroalimentare.

La pesca funziona

L’Africa occidentale è ad esempio un contesto molto attraente per il settore ittico. Qui però la portata della pesca illegale è importante e si traduce in perdite economiche e in centinaia di migliaia di posti di lavoro messi a rischio nel settore della pesca artigianale. Bruxelles sta lavorando insieme ad Abidjan per contrastare il problema, migliorando monitoraggio, controllo e sorveglianza. Una collaborazione che fa parte di un accordo di partenariato per la pesca sostenibile che garantisce alla Costa d’Avorio 682mila euro all’anno (di cui 407mila euro per il sostegno al settore della pesca) dal bilancio della Ue e consente alle navi e provenienti principalmente da Spagna, Portogallo e Francia di pescare nelle acque ivoriane.

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