Lavoro, equità salariale, flessibilità, AI: i trend del 2024
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LavoroPrimo piano Mer 03 gennaio 2024

Lavoro, equità salariale, flessibilità, AI: i trend del 2024

Il luogo di lavoro subirà cambiamenti nel 2024: gli sviluppi in termini di diversità, equità e inclusione, dati e intelligenza artificiale. Lavoro, equità salariale, flessibilità, AI: i trend del 2024
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

Nuovo anno ricco di incognite, anche per il mondo del lavoro in Italia e a livello globale, legate a uno scenario macroeconomico e soprattutto geopolitico ancora molto incerto e volatile. Il luogo di lavoro subirà cambiamenti significativi nel 2024: gli sviluppi in termini di diversità, equità e inclusione (DE&I), dati e intelligenza artificiale generativa (AI), la sempre maggiore necessità di flessibilità stanno modificando le priorità aziendali e delle risorse umane e influenzando le decisioni di leadership. Rimanere aggiornati sarà fondamentale per i leader che sperano di andare avanti con chiarezza e fiducia in un mondo del lavoro costantemente etichettato come in continua evoluzione.

Sono ormai sempre più importanti valori come la diversità, l’equità e l’inclusione (DEI) per i lavoratori, tanto che influiscono sulla decisione di rimanere o meno all’interno di un’azienda: secondo i dati di “People at Work” dell’ADP® Research Institute, condotto su oltre 32.000 lavoratori in 17 paesi (2mila lavoratori in Italia), già nel 2023 le grandi imprese hanno superato di gran lunga quelle piccole: ad esempio, più della metà (53%) dei dipendenti delle grandi aziende ha assistito a un miglioramento del divario retributivo di genere negli ultimi tre anni, rispetto a circa quattro su dieci di quelle più piccole. I miglioramenti maggiori sono avvenuti nelle aziende con 500-1000 dipendenti. La ragione potrebbe essere che sono abbastanza piccole da capire più facilmente il profilo e le necessità della forza lavoro rispetto alle imprese più grandi, ma abbastanza affermate da disporre delle risorse per implementare le misure necessarie a fare la differenza.

I numeri italiani dicono che il 24% dei lavoratori pensa che negli ultimi 3 anni la gender pay equality sia migliorato (28% uomini e 19% delle donne), le politiche DEI sono migliorate per il 27% (29% uomini e 25% donne). Se il 35% afferma di non aver mai partecipato all’interno dell’azienda a iniziative per favorire le politiche DEI, il 33% ha partecipato a staff training, il 18% a eventi di sensibilizzazione, il 12,4% afferma che la propria azienda ha attuato una revisione dei dati demografici aziendali per identificare aree di miglioramento.

Sta diventando sempre più importante la trasparenza retributiva, una via per migliorare l’equità retributiva. Il Parlamento europeo è intervenuto direttamente sul problema con l’approvazione della direttiva sulla trasparenza salariale, che pone fine al cosiddetto “segreto retributivo”. In base alle nuove norme, le imprese dell’UE saranno tenute a fornire informazioni sulle retribuzioni e a intervenire se il divario retributivo di genere supera il 5%. Lo stesso Consiglio Europeo ha dichiara che la trasparenza può contribuire a dotare i lavoratori e le lavoratrici dei mezzi necessari per far valere il loro diritto alla parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso una serie di misure vincolanti. La mancanza di trasparenza retributiva è stata individuata come uno dei principali ostacoli all’eliminazione del divario retributivo di genere.

In Italia, con la legge 162/2021 è stata introdotta la certificazione di genere. Si tratta di una certificazione volontaria che le aziende potranno richiedere per attestare la conformità dell’organizzazione di impresa ai principi di parità tra i generi, in punto di retribuzione e condizioni di carriera. Secondo i dati ADP, In Italia, si sente ancora sottopagato il 48% delle donne. Non solo, in base alla medesima ricerca lo scorso anno in Italia il 44% dei dipendenti ha ottenuto un incremento medio dello stipendio pari al 5,5%: gli uomini affermano che la loro retribuzione è aumentata del 5,8%, rispetto al 5,2% delle donne. Hanno ottenuto un aumento il 50% degli uomini e il 36% delle donne.

Considerato l’aumento dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa, l’etica e la conformità sono considerate sempre più importanti per le aziende. Sarà fondamentale stabilire il modo in cui verranno utilizzati i dati con l’intelligenza artificiale generativa, chi utilizzerà la tecnologia e il modo migliore per conformarsi alle leggi e ai regolamenti correlati. Vengono presi in considerazione anche i diritti e le responsabilità di accesso, i tipi di dati e le politiche e i quadri etici sull’IA.

Le domande da porsi sono: come tenere conto della privacy e della sicurezza dei dati? Quali diritti hanno i dipendenti sull’utilizzo dei loro dati per addestrare modelli di intelligenza artificiale generativa? L’intelligenza artificiale ha bisogno di fiducia, si sta evolvendo rapidamente e presto porterà trasformazioni in modi che non possiamo prevedere.

C’è ancora infatti molto timore sull’argomento. Secondo ADP il 13% dei lavoratori italiani crede che l’uso dell’intelligenza artificiale diventerà la norma nel proprio settore nei prossimi cinque anni, riducendo così le attività manuali. Sono più gli uomini che temono l’IA (15%) mentre la percentuale è dell’11% per le donne. La fascia che si sente più minacciata è quella che va dai 18 ai 24 anni (21,5%) mentre scende al 10% per gli over 45.

Per quanto riguarda invece i settori, i più insicuri sono gli operatori del mondo finanziario (19%), dei servizi professionali (18%), del manifatturiero (17%) e del settore IT e telecomunicazioni (17%). Seguono gli operatori del real estate (15%) e del comparto media e informazione (15%).

Ancora: secondo stime ADP ci sono 6,36 milioni di lavoratori disoccupati nel mercato del lavoro, ma le aziende hanno difficoltà a ricoprire i ruoli. I fattori in gioco potrebbero includere una mancata corrispondenza tra istruzione ed esigenze aziendali e posti di lavoro che richiedono competenze nelle nuove tecnologie. Indipendentemente da ciò, i datori di lavoro devono ricoprire le posizioni con lavoratori qualificati. Invece di concentrarsi esclusivamente sulla ricerca delle competenze giuste, dovrebbero dare priorità alla loro costruzione.

Secondo l’ADP Research Institute, le competenze manageriali e le competenze umane sono le più necessarie per il futuro del lavoro. Il 22% degli italiani intervistati da ADP si aspetta nei prossimi 12 mesi maggiori training e corsi di formazione, il 62% pensa di avere le competenze necessarie per almeno i prossimi tre anni. Per il 60% le competenze del futuro comprenderanno skills tecnologiche non ancora considerate indispensabili per il lavoro odierno, mentre il 44% sente che il proprio datore di lavoro sta investendo nelle competenze di cui i lavoratori hanno bisogno per avanzare nel proprio percorso di carriera. Nei prossimi 5 anni le skills più importanti saranno l’empatia 25%, l’abilità manageriale per il 23%, e le lingue straniere per il 21%.

Capitolo flessibilità: il 39% della Generazione Z (1995-2010) è insoddisfatto della flessibilità oraria offerta dal proprio datore di lavoro attuale e il 37% della flessibilità del luogo di lavoro. Mentre il 44% dei baby boomer è soddisfatto della flessibilità di orari e luogo offerti. L’insoddisfazione delle generazioni più giovani non deve essere ignorata dai leader delle risorse umane. Molto meno leali dei lavoratori più anziani, molti tra i più giovani hanno dichiarato pubblicamente che prenderebbero in considerazione la possibilità di cercare un nuovo lavoro se il datore di lavoro ordinasse loro di lavorare in ufficio a tempo pieno. Ciò è in parte dovuto al fatto che le generazioni più giovani vedono la propria vita personale e quella lavorativa come completamente intrecciate. La flessibilità è quindi fondamentale per attrarre i nuovi talenti. (Teleborsa) 

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