IA, Milano d'Aragona (Datrix): "Bene paletti Ue, no a ritardi" - V&A
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ApprofondimentiTech Sab 24 giugno 2023

IA, Milano d'Aragona (Datrix): "Bene paletti Ue, ma non dobbiamo accumulare ritardi"

Per il ceo di Datrix l'Unione europea fa bene a mettere vincoli all'Intelligenza artificiale, ma le aziende devo poter crescere IA, Milano d'Aragona (Datrix): "Bene paletti Ue, ma non dobbiamo accumulare ritardi"
Mikol Belluzzi
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Mikol Belluzzi

IA, Milano d’Aragona (Datrix): “Bene paletti Ue, ma non dobbiamo accumulare ritardi”

“Innovare non è un rischio, mentre non innovare lo è. È un bene che ci siano delle linee guida su cui operare ma non dobbiamo accumulare ritardo perché non è detto che poi lo si possa recuperare”. E’ diretto nelle sue parole Fabrizio Milano d’Aragona, ceo di Datrix, quando Verità e Affari gli chiede di commentare l’IA Act che l’Unione europea ha presentato settimana scorsa e dove Bruxelles fissa i primi paletti contro lo strapotere dell’Intelligenza artificiale. Datrix, quotata sull’Egm, è una delle società più attive nelle applicazioni dell’Intelligenza artificiale nel nostro Paese e proprio per rafforzarsi in questo comparto ha dato il via ad Aramix, con la nomina di Enrico Zio come direttore scientifico del gruppo, e all’accordo con Seed Group che consente a Datrix di entrare in un mercato attento all’innovazione come quello degli Emirati arabi uniti.

Che cosa ne pensa di questi primi provvedimenti europei sull’IA?

“Come è accaduto per la digitalizzazione ci sono aspetti positivi nella sua evoluzione, ma anche un “dark side” che va gestito. Per questo è giusto creare delle linee guida, ma che non devono essere troppo burocratiche perché il mondo del lavoro non può permetterselo e l’Unione europea non deve restare indietro. L’obiettivo prioritario deve essere aiutare le aziende a trasformarsi com’è accaduto con la digitalizzazione che in Italia è stata più lenta per poi accelerare sulla scia del Covid. Altrimenti ci ritroveremo nella stessa situazione di quando sono emersi i big del web, con i governi che discutevano di come regolamentarli, mentre gli utenti compravano massicciamente online, mettendo in difficoltà le aziende meno pronte alla rivoluzione digitale”.

Questo nuovo paradigma è un bene per le aziende?

“L’Intelligenza artificiale è già usata dalle aziende e le aiuta a lavorare meglio. Si tratta di una trasformazione su cui bisogna iniziare a riflettere. Servono nuove conoscenze, formazione e reskilling in azienda. Oggi l’IA è applicata in modo estensivo dai big player digitali e dagli operatori finanziari, ma tante funzioni e comparti in futuro avranno a che fare con questi sistemi innovativi. E’ inevitabile. Perché l’IA si applica all’aumento esponenziale dei dati, che vanno interpretati e utilizzati, altrimenti sono solo costi in più per l’azienda”.

Quanto ci vorrà affinché l’Ia “colonizzi” tutti comparti?

“I prossimi 5-10 anni saranno fondamentali per lo sviluppo di questi sistemi. L’Ia non è una novità per le aziende, è arrivata con i sistemi cloud, ma negli ultimi anni è uscita dai laboratori delle grandi imprese e negli ultimi mesi è emersa la fase più critica, quando è arrivata ai cittadini. Infatti è con ChatGpt che questa tecnologia è diventata dirompente”.

Si spieghi meglio.

“L’Intelligenza artificiale è già alla base delle mappe di Google, della biometrica sui cellulari, serve a programmare i robot, ma è da quando si può interagire con una macchina in maniera diretta che si capiscono bene quali siano le opportunità e i rischi di questa tecnologia, anche a livello di privacy. Insomma, solo ora è chiaro a tutti quanto ci si è spinti in avanti e quali sono le potenzialità di questo paradigma. La differenza è che prima eravamo noi a dare le indicazioni al motore di ricerca per selezionare le informazioni che ci servivano a creare un testo, mentre ora il testo lo crea in autonomia ChatGpt”.

Quindi serve mettere dei paletti a questa “autonomia”?

“Certamente serve da parte dei governi un’attenzione sulle modalità con cui i cittadini interagiscono con l’Ia, che però non deve bloccare il percorso d’innovazione delle aziende. La Francia, per esempio, ha fissato delle regole ma ha anche dato degli incentivi per dare impulso alla transizione. E questo perché se una piccola o media impresa vuole vendere all’estero deve iniziare a ragionare in questa ottica oppure sarà tagliata fuori, superata da altre. Noi lavoriamo molto non solo con grandi clienti come L’Oreal e Nestlè, ma anche con tante Pmi attive nei servizi, nel marketing, e con aziende produttive che hanno bisogno di essere supportate in questo percorso”.

Ma l’Europa com’è posizionata sull’Ia?

“Ci sono diverse sfaccettature. Nel Vecchio continente esistono centri universitari che sono l’eccellenza e possono creare figure per progettare l’Ia. Dall’altro lato, invece, nel manifatturiero potremmo essere più avanzati degli Stati Uniti, mentre sui player digitali sono America e Cina a dominare. Per esempio, in questo la normativa GDPR è positiva, perché ha creato dei framework per utilizzare i dati personali e anche il nuovo IA Act europeo sta mettendo le basi per delle buone linee guida. Direi che ci possiamo giocare la partita. Certo, in alcuni paesi sono molto avanti…”

A chi si riferisce?

“Negli Emirati Arabi c’è persino il ministero dell’Intelligenza artificiale perché esiste grande attenzione all’argomento visto che si sono insediate tante multinazionali che operano nei settori delle nuove energie, della sicurezza, dei trasporti dove questa tecnologia è fondamentale. Anche Israele sta investendo tanto sull’Ia, mentre l’Europa deve iniziare a farlo in modo serio, aiutando le aziende nella transizione”.

 

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