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ApprofondimentiBanche Lun 28 agosto 2023

Banche, il governo al lavoro per riformare le cartolarizzazioni a favore delle famiglie

Dopo gli extraprofitti pronta la riforma del mercato delle sofferenze bancarie: una legge per permettere di saldare i debiti a prezzi ridotti Banche, il governo al lavoro per riformare le cartolarizzazioni a favore delle famiglie
Camilla Conti
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Camilla Conti

Nel luglio 2017 uno studio di Pwc definiva l’Italia «The place to be», ovvero il posto dove trovarsi. Le banche stavano vendendo quantità enormi di crediti deteriorati a prezzi stracciati. Così su questo mercato si erano fiondati investitori da tutto il mondo: big come Fortress, Pimco o Cerberus, ma anche divisioni specializzate delle banche d’affari. Una volta accaparrati più Npl possibile, questi soggetti li avevano dati ai cosiddetti servicer per l’attività vera e propria di recupero crediti. Sviluppando un mercato «secondario» di crediti in sofferenza dove a vendere non sono più le banche, ma gli stessi fondi che dalle banche avevano comprato.

Le cartolarizzazioni

Si era così creato anche un fitto sottobosco di società veicolo create ad hoc, le cosiddette Spv. I cui flussi finanziari originavano dalle attività che venivano cartolarizzate. L’elenco di queste società e delle altre Svc (Società veicolo di cartolarizzazione) iscritte nel registro di Banca d’Italia era diventato lunghissimo. Rendendo spesso difficile monitorare le performance di alcuni «spazzini» di Npl controllati da società di diritto estere. Così come non era facile capire i prezzi dei «cartellini» esposti nel gran bazar delle sofferenze.

L’allarme di Visco

Tanto che a febbraio 2020 il governatore Ignazio Visco aveva annunciato al Forex:  Bankitalia sta mettendo sotto la lente le società che si occupano in Italia di gestire e recuperare i crediti problematici e i cosiddetti Utp.  Anche per questo, nel settembre 2018 era stato presentato un disegno di legge portato avanti dall’allora senatore di Fratelli d’Italia, Adolfo Urso, oggi ministro delle Imprese, che puntava a consentire il riscatto delle sofferenze bancarie direttamente ai debitori. 

L’obiettivo dichiarato era quello di «agevolare le prospettive di recupero dei crediti in sofferenza. E favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto, al fine di contribuire allo sviluppo e alla competitività del sistema economico produttivo nazionale», si leggeva nel primo articolo. In pratica, creare un canale privilegiato per i debitori che avrebbero la possibilità, tramite un diritto di opzione, di ricomprarsi il credito deteriorato. Aggiungendo al prezzo a cui la banca l’ha ceduto una percentuale compresa tra il 20 e il 40 per%.

Le promesse di Conte

L’iniziativa puntava, insomma, a consentire a Pmi e persone fisiche di esercitare un’opzione per estinguere il proprio debito a valori ragionevoli, facendo allo stesso tempo conseguire al creditore cessionario – ossia un servicer – un giusto profitto. Quella proposta di legge per rimettere a noi i nostri debiti era diventata famosa anche per un video circolato sul Web a giugno 2019. Si poteva vedere l’allora premier, Giuseppe Conte, su un balcone a Napoli, dialogare con un avvocato settantenne, in piedi su un altro balcone e in mutande. «Presidè», aveva gridato il civilista, «sblocchi subito la 788, una legge che può salvare migliaia di persone». Conte aveva replicato con un «me ne interesserò». Il testo di legge era stato incardinato in commissione al Senato. Dove si è arenato con la fine della legislatura.

Governo e Parlamento

Con Fdi al timone della maggioranza di Palazzo Chigi, quell’idea è stata tirata fuori dal cassetto. Il governo Meloni è al lavoro su un intervento sui crediti deteriorati a tutela di piccole imprese, commercianti, artigiani e famiglie. A rivelarlo, è stato il quotidiano Mf lo scorso 10 agosto. Sottolineando che la norma sarebbe anche potuta entrare nel decreto Asset e investimenti, se nel corso del Consiglio dei ministri del 7 agosto l’argomento banche non fosse stato dominato dal prelievo sugli extraprofitti. 

Il Parlamento, comunque, si è già mosso a metà luglio. Sono state presentate due proposte alla Camera e al Senato. La norma prevede un’opzione per saldare il debito riconoscendo al servicer il 20% in più rispetto al prezzo d’acquisto dalla banca. La misura viene però  limitata a crediti ceduti che siano frutto delle crisi economiche e bancarie degli ultimi anni (dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2021). Le proposte depositate (e già quella di Urso del 2018) valgono per qualunque credito deteriorato fino a 25 milioni di valore nominale. È poi allo studio il vantaggio, per chi ricompra il credito, di essere cancellato dalla Centrale rischi di Bankitalia che segnala le inadempienze.

Materia delicata

La materia è delicata perché potrebbe avere ripercussioni sul mercato dei non performing loans italiano. Che vale 307 miliardi di crediti ed è il più grande d’Europa.  La prossima legge sui crediti deteriorati è inoltre finita ieri sui «terminali» degli investitori internazionali con un allarme lanciato da Bloomberg. «La nuova legge potrebbe turbare ulteriormente i finanziatori e gli investitori internazionali in un Paese ancora scosso da una tassa a sorpresa sulle banche», evidenziano i reporter dell’agenzia finanziaria americana. Aggiungendo che le preoccupazioni degli investitori «si concentrano sulla possibilità che le misure possano cancellare i loro rendimenti».  Secondo altri esperti, c’è il rischio di creare effetti distorsivi nel mercato italiano del debito, rendendolo meno attrattivo per gli investitori e quindi meno stabile. Un po’ come quell’effetto distorsivo, in direzione contraria, che ebbe la risoluzione delle quattro banche regionali (Banca Marche, Pop Etruria, CariFerrara e CariChieti) varata dal governo Renzi nel 2015 e la decisione di Bankitalia di valutare le sofferenze delle banche in esame al 17% del nominale (un valore poi alzato al 22% nei primi mesi del 2016). Benchmark che mise pressione sull’intero sistema accelerando le crisi di altri istituti, dalle venete a Mps.

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