Nature restoration, blitz di verdi e socialisti per dirci cosa coltivare
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AperturaEconomia Mar 13 giugno 2023

Nature restoration, blitz di verdi e socialisti per dirci cosa coltivare

Il Nature restoration impone il ripristino di zone naturali nel 20% della superficie entro il 2030. Il Voto in commissione il 15 giugno Nature restoration, blitz di verdi e socialisti per dirci cosa coltivare PARLAMENTO EUROPEO
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Nature restoration, blitz di verdi e socialisti per dirci cosa coltivare

“Proteggiamo Madre natura”. Potrebbe essere questo lo slogan con il quale Socialisti e Verdi europei fanno propaganda a favore dell’ennesimo provvedimento dell’ormai famoso Green new deal, il pacchetto di misure ambientaliste che punta a «ripulire» il Continente senza nessuna cura dell’impatto sociale ed economico dello stesso. Mentre, ça va sans dire, chi si oppone o prova suggerire dei distinguo viene bollato alla stregua del “becero negazionista”.

Questa volta non parliamo di auto, cibo o imballaggi in senso stretto, ma di natura in senso largo. Il Nature restoration, questo il nome della normativa che obbligherebbe i governi a ripristinare le zone naturali in almeno il 20% della superficie terrestre e marina entro il 2030 e di estenderle a tutti gli habitat che necessitano di recupero entro il 2050, aveva subito poche settima fa un brusco stop in sede di commissione Agricoltura dell’Europarlamento.

Sia in prima che in seconda seduta il gruppo di centrodestra Ecr (Conservatori e dei Riformisti Europei) e il Ppe (guidato dal tedesco Manfred Weber) avevano votato compatti contro i socialisti potendo contare anche sull’appoggio di Renew Europe, di Emmanuel Macron.

Un gioco di alleanze molto interessante

Un accordo che potrebbe avere degli sviluppi strategici anche in prospettiva. L’imbarcata ha eliminato alcune delle storture della norma, ma l’impianto è rimasto saldo. Il chiodo fisso di Socialisti e Verdi resta quello di portare a casa il maggior numero di provvedimenti green entro la fine della legislatura (si vota a giugno del 2024), anche perché dal prossimo anno le priorità potrebbero cambiare. Insomma c’è poco da sorprendersi se hanno spinto per una convocazione straordinaria della commissione Ambiente. Alle 8 e 30 del mattino del 15 giugno, nel corso della plenaria di Strasburgo, si voterà sul Nature restoration.

“Per la prima volta in questa legislatura su questo dossier, abbiamo visto spaccarsi la maggioranza formata dal Partito popolare europeo e dai socialisti. Speriamo di poter replicare in commissione Ambiente quanto successo nella commissione Agricoltura” spiega Sergio Berlato, l’europarlamentare di Fdi membro della commissione ambiente.

“Molti europarlamentari, nonostante l’appartenenza a diverse famiglie politiche, hanno capito che un approccio troppo idealistico ai temi ambientali rischia di fare molti danni. Non ci possono imporre scelte che, seppure immaginate con lo scopo di tutelare l’ambiente, risultano dannose per la salute stessa dei nostri cittadini” prosegue. Certo la morte di Silvio Berlusconi che porterà molti eurodeputati italiani a lasciare Strasburgo complica i piani del fronte del no.

Il problema è nell’approccio ideologico

La richiesta di posticipare il voto è stata respinta da Pascal Canfin, il presidente «estremista» (in senso ambientalista ovviamente) della stessa commissione Envi. Certo, se l’approccio resta ideologico cambierà ben poco. Ma se si guardano i contenuti è difficile non notare i paradossi della normativa. “Pretendere rispetto ai corsi fluviali che si abbiano 25.000 chilometri a libero scorrimento entro il 2030”, sottolinea Pietro Fiocchi, l’altro membro della commissione Ambiente di Fdi, “rimuovendo quindi tutti gli ostacoli, compreso le dighe è paradossale, se l’obiettivo è quello di incentivare le produzioni energetiche alternative, oltre che poco praticabile». «Il provvedimento”, continua. “Interesserà quasi il 50% del territorio italiano con tutta una serie di problematiche per il mondo agricolo che in alcuni casi sarà costretto a rinunciare a determinate produzioni” aggiunge.

L’esempio classico è quello di un vasto terreno coltivato a granoturco

A causa delle nuove norme almeno il 10% di quell’area dovrà essere riservata alla coltivazione di un altro prodotto. La tanto cara biodiversità è salva, ma l’agricoltore ci rimette. Anche perché il sistema si poggia su un cervellotico sistema di mappatura satellitare dei terreni che sicuramente porterà altre criticità. La situazione a Bruxelles e Strasburgo è comunque fluida. Bisogna ricordare che dopo il passaggio in commissione Ambiente, la palla passerà al Parlamento (l’obiettivo di Socialisti e Verdi è di portare il provvedimento alla Plenaria di Strasburgo di luglio) e quindi nelle mani del Trilogo (Commissione, Parlamento e Consiglio Ue). Insomma ne deve passare di acqua sotto i ponti.

In tutto questo, peraltro, va segnalato l’atteggiamento di Ursula von der Leyen. Il presidente della Commissione Ue che secondo la stampa belga avrebbe inviato una nota di lavoro ai 27 stati membri annunciando alcuni passi indietro sul regolamento che vanno nella direzione delle volontà del presidente francese, Emmanuel Macron e del premier belga, Alexander De Croo. Nessun obbligo di risultati, flessibilità negli obiettivi per rendere più verdi le città, semplice invito a aumentare del 10% (ma anche meno) i terreni agricoli con caratteristiche di alto livello di biodiversità. Non è che il presidente si sia ricreduto. Il punto è che tra meno di un anno si vota e una riconferma val bene qualche piccola rinuncia sulle ambizioni del Green deal.

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