Sorpresa, l'Ai potrebbe far aumentare i posti di lavoro
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Lavoro Dom 27 agosto 2023

Sorpresa, l'Ai potrebbe far aumentare i posti di lavoro. Ma non tutti sono d'accordo

La maggior parte dei lavori e delle industrie possono essere integrati, piuttosto che sostituiti dall'intelligenza artificiale. Sorpresa, l'Ai potrebbe far aumentare i posti di lavoro. Ma non tutti sono d'accordo
Redazione Verità&Affari
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L’intelligenza artificiale generativa (AI) ha maggiori probabilità di aumentare i posti di lavoro piuttosto che distruggerne. È quanto sostiene un nuovo studio dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). Lo studio – “Generative AI and Jobs: un’analisi globale dei potenziali effetti sulla quantità e qualità del lavoro” – suggerisce che la maggior parte dei lavori e delle industrie sono solo parzialmente esposti all’automazione e hanno maggiori probabilità di essere integrati, piuttosto che sostituiti dall’ultima ondata di intelligenza artificiale generativa, come ad esempio ChatGPT. È quindi probabile che l’impatto maggiore di questa tecnologia non sia la distruzione di posti di lavoro, quanto piuttosto potenziali cambiamenti nella qualità dei posti di lavoro, in particolare l’intensità del lavoro e l’autonomia.

Il lavoro d’ufficio è risultato essere la categoria con la maggiore esposizione tecnologica, con quasi un quarto delle mansioni considerate altamente esposte e più della metà delle mansioni con un’esposizione di livello medio. In altri gruppi professionali – tra cui manager, professionisti e tecnici – solo una piccola parte delle mansioni è risultata altamente esposta, mentre circa un quarto presentava livelli di esposizione medi.

Lo studio, di portata globale, documenta notevoli differenze negli effetti sui paesi a diversi livelli di sviluppo, legate alle attuali strutture economiche e ai divari tecnologici esistenti. Si scopre che il 5,5% dell’occupazione totale nei paesi ad alto reddito è potenzialmente esposto agli effetti di automazione della tecnologia, mentre nei paesi a basso reddito il rischio di automazione riguarda solo circa lo 0,4% dell’occupazione. D’altro canto, il potenziale di incremento è quasi uguale tra i paesi, suggerendo che con le giuste politiche in atto, questa nuova ondata di trasformazione tecnologica potrebbe offrire importanti benefici per i paesi in via di sviluppo.

Lo studio rileva che i potenziali effetti dell’intelligenza artificiale generativa differiranno significativamente per uomini e donne, con più del doppio della quota di occupazione femminile potenzialmente interessata dall’automazione. Ciò è dovuto alla sovrarappresentanza delle donne nel lavoro d’ufficio, soprattutto nei paesi ad alto e medio reddito. Poiché i lavori d’ufficio sono stati tradizionalmente un’importante fonte di occupazione femminile man mano che i paesi si sviluppano economicamente, uno dei risultati dell’intelligenza artificiale generativa potrebbe essere che alcuni lavori d’ufficio potrebbero non emergere mai nei paesi a basso reddito.

Il documento conclude che gli impatti socioeconomici dell’IA generativa dipenderanno in gran parte da come verrà gestita la sua diffusione. Sostiene la necessità di progettare politiche che sostengano una transizione ordinata, equa e consultiva. La voce dei lavoratori, la formazione professionale e un’adeguata protezione sociale saranno fondamentali per gestire la transizione. Altrimenti c’è il rischio che solo pochi paesi e operatori di mercato ben preparati traggano vantaggio dalla nuova tecnologia. Gli autori notano che “i risultati della transizione tecnologica non sono predeterminati. Sono gli esseri umani che stanno dietro la decisione di incorporare tali tecnologie e sono gli esseri umani che devono guidare il processo di transizione”.

Chi la pensa diversamente

Non tutti la pensano, però, allo stesso modo. Secondo un rapporto di Confartigianato sono 8,4 milioni i lavoratori italiani a rischio per effetto della diffusione dell’intelligenza artificiale. Ne emerge che il 36,2% del totale degli occupati subirà l’impatto delle profonde trasformazioni tecnologiche e dei processi di automazione. Una percentuale, quella italiana, inferiore di 3,2 punti rispetto al 39,5% della media europea di lavoratori maggiormente esposti all’IA. Stanno peggio di noi Germania e Francia rispettivamente al 43% e al 41,4% di lavoratori in bilico e il Lussemburgo con addirittura il 59,4%, seguito da Belgio al 48,8% e Svezia al 48%.

Le professioni più esposte sono quelle maggiormente qualificate e a contenuto intellettuale e amministrativo, a cominciare dai tecnici dell’informazione e della comunicazione, dirigenti amministrativi e commerciali, specialisti delle scienze commerciali e dell’amministrazione, specialisti in scienze e ingegneria, dirigenti della pubblica amministrazione. Tra le attività lavorative a minor rischio vi sono quelle con una componente manuale non standardizzata.

Secondo la rilevazione di Confartigianato, l’espansione dell’intelligenza artificiale insidia il 25,4% dei lavoratori in ingresso nelle imprese nel 2022, pari 1,3 milioni di persone. Per le piccole imprese fino 49 addetti la quota è del 22,2%, pari a 729.000 persone. A livello territoriale, la maggiore percentuale di personale in bilico si registra nel centro-nord, con in testa la Lombardia (35,2% degli occupati assunti nel 2022 più esposti a impatto IA), seguita dal Lazio (32%), Piemonte e Valle d’Aosta (27%), Campania (25,3%), Emilia Romagna (23,8%), Liguria (23,5%).

Da rischio a opportunità, il rapporto di Confartigianato mette anche in evidenza che l’intelligenza artificiale è l’arma che le imprese stanno sfruttando per ottimizzare le proprie attività. In particolare, il 6,9% delle nostre piccole aziende utilizza robot, superando il 4,6% della media europea e, in particolare, doppiando il 3,5% della Germania. Inoltre, il 5,3% delle Pmi usa sistemi di intelligenza artificiale e il 13% prevede di effettuare nel prossimo futuro investimenti nell’applicazione dell’IA.

“L’intelligenza artificiale – sottolinea il presidente di Confartigianato Marco Granelli – è un mezzo, non è il fine. Non va temuta, ma va governata dall’intelligenza artigiana per farne uno strumento capace di esaltare la creatività e le competenze, inimitabili, dei nostri imprenditori. Non c’è robot o algoritmo che possano copiare il sapere artigiano e simulare l”animà dei prodotti e dei servizi belli e ben fatti che rendono unico nel mondo il made in Italy”.

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