Smart working, chi ci guadagna di più tra aziende e lavoratori
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Lavoro Gio 20 ottobre 2022

Smart working, chi ci guadagna di più tra aziende e lavoratori

L’abbiamo conosciuto bene durante la pandemia e oggi c’è chi non riesce a farne a meno per una serie di vantaggi oggettivi. Smart working, chi ci guadagna di più tra aziende e lavoratori
Marco Vassallo
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Marco Vassallo

Lo studio del Politecnico sullo smart working

L’abbiamo conosciuto bene durante la pandemia e oggi c’è chi non riesce a farne a meno per una serie di vantaggi oggettivi. Comodità, e risparmi su tutti. Lo smart working è una manna sia per aziende che lavoratori. Ed è una soluzione che molte realtà continueranno ad adottare anche dopo la fine dell’emergenza covid. In questo momento di crisi energetica, però, sorge spontanea una domanda. Se per le imprese i risparmi economici sono notevoli, il lavoro remoto è ancora vantaggioso per i dipendenti ora che incombe il caro bollette? Una risposta ce la dà l’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano.

Smart working, i vantaggi maggiori sono per le aziende

Secondo un loro report, il caro bollette persa circa 400 euro l’anno su chi lavora a casa due giorni a settimana, ma il saldo annuale resta comunque positivo di 600 euro. Il lavoratore casalingo, infatti risparmia di più evitando i trasporti che gli costerebbero 1000 euro. La convenienza è maggiore per le aziende: consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per due giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.

Le aziende non condividono i risparmi con i dipendenti

Questi soldi risparmiati potrebbero essere anche destinati ai dipendenti. Che otterrebbero una sorta di bonus anti-crisi erogato dai loro capi. Ma, secondo quanto riporta l’Osservatorio, sono poche le realtà che prevedono rimborsi per gli smart workers. “Nel complesso lo smart working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano”, ha spiegato Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio del Politecnico, suggerendo che “in questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto”.

Benessere dei dipendenti non scontato

Si dice che questo tipo di lavoro migliori il benessere psicologico dei dipendenti e l’aspetto relazionale. Un risultato  che, si legge nel report, non è scontato, anzi. “La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement”, precisa l’Osservatorio. “I lavoratori che manifestano i livelli più elevati di benessere sono infatti gli smart worker, tra i quali il 13% risulta pienamente ingaggiato, mentre i lavoratori remote non smart privi di flessibilità ulteriori oltre a quelle di luogo di lavoro, risultano avere minore benessere e un livello di engagement molto basso (6%), inferiore non solo ai veri smart worker, ma anche ai lavoratori on-site (12%)”. Non solo. Questo tipo di lavoro se non bene organizzato, fa sapere l’Osservatorio “può  condurre a esiti più negativi persino rispetto a chi non ha alcuna forma di flessibilità come i lavoratori on-site (cioè quelli che lavorano in presenza”.

Il risparmio ambientale

Poi c’è il “risparmio ambientale”. Tema da non sottovalutare e a cui il lavoro da remoto può dare una mano. Lo smart working potrebbe, infatti, ridurre le emissioni annue di CO2 di 1.500.000 tonnellate, seconda la ricerca. Il lavoro da casa – emerge dallo studio – riduce le emissioni di circa 450 chili annui per lavoratore, grazie a varie componenti: la riduzione degli spostamenti, che permette il risparmio di 350 chili di CO2, le emissioni risparmiate nelle sedi delle organizzazioni che hanno introdotto lo smart working (-400 chilo) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 chili). “Considerando il numero degli smart worker attuali pari a 3.570.000 di lavoratori, l’impatto a livello di sistema Paese calcolato sarebbe pari a 1.500.000 tonnellate annue di CO2. Tale quantità – sottolinea la ricerca – è pari a quella assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa otto volte quella del comune di Milano“.

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