Extraprofitti banche, i rischi per le casse dello Stato
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ApprofondimentiBanche Lun 28 agosto 2023

Extraprofitti banche, i rischi per le casse dello Stato

La norma sugli extraprofitti delle banche potrebbe diventare un boomerang per le casse pubbliche. Focus titoli di Stato Extraprofitti banche, i rischi per le casse dello Stato
Redazione Verità&Affari
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 La tassa sui cosiddetti extraprofitti bancari introdotta dal governo ha bisogno di essere corretta per non trasformarsi in un autogol per le casse dello Stato. A sottolinearlo nei giorni scorsi anche il ministro per gli Esteri, Antonio Tajani, che ha parlato del rischio di tassare i titoli di Stato. In realtà, questa prospettiva è già una certezza ed è la conseguenza del modo in cui è stata impostato il dazio italiano, che si configura in modo ben diverso dal precedente già introdotto in Spagna. La norma introduce infatti un’aliquota del 40% sul margine di interesse delle banche (per la precisione sulla quota che eccede del 5% il margine di interesse del 2022) che hanno sede in Italia, facendo espresso riferimento alla voce 30 del conto economico.

Un calcolo complesso

L’aliquota però non include solo i proventi derivanti dalla differenza del costo della raccolta (che avviene anche attraverso bond e non rappresenta solo la differenza tra interessi attivi e interessi passivi dei conti correnti) e il tasso di interesse applicato ai prestiti. Qui sono inseriti anche i proventi legati ai rendimenti dei bond e, quindi, anche dei titoli di Stato: sino al 7 agosto quegli strumenti finanziari erano tassati per le banche al 26% oltre a un’addizionale del 3,5 per cento.

Per le persone fisiche, invece, è prevista un’aliquota ridotta al 12,5% proprio per incentivare l’acquisto dei titoli di debito pubblico italiani. La nuova norma ha invece l’effetto di introdurre per le banche una ulteriore imposizione indeducibile del 40%, che si aggiunge alla quella preesitente. Il risultato è che, in qualche modo, lo Stato finisce per definire extraprofitti la remunerazione che riconosce alle proprie obbligazioni.

I titoli di Stato posseduti dalle banche inoltre non sono solo quelli acquistati dal luglio 2022

In pratica non si tratta solo dei titoli comprati da quando sono saliti i rendimenti come conseguenza del rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea. La gran parte infatti sono titoli acquistati in precedenza, quando i tassi erano a zero, e i cui rendimenti sono molto bassi: anche quelli vengono tassati al 40%.

L’articolo 26 del decreto legge varato lo scorso 7 agosto stabilisce che questa imposizione straordinaria sia in vigore per l’esercizio 2023. La vigenza di questo svantaggio fiscale fino nel 2023 potrebbe essere controproducente anche in vista delle aste dei titoli di Stato da qui a fine anno: perché le banche dovrebbero continuare a investire su quei titoli se renderanno di meno? Il ragionamento vale anche per investimenti in altri titoli, magari con rendimenti che maturano dopo il 2023.

Rischio tassazione

La modifica della tassazione dei proventi dei titoli di Stato porta con sé l’idea di un rischio implicito di quegli strumenti finanziari, che sino ad oggi sono considerati in termini di vigilanza prudenziale privi di rischio e quindi non implicano accantonamenti da parte delle banche. La tassa inoltre colpisce qualsiasi realtà con licenza bancaria. Questo sistema può determinare effetti distorsivi della concorrenza tra grandi gruppi e gruppi di credito cooperativo che si vedono tassare prima ogni singola banca e poi a livello di gruppi. Inoltre, sono ulteriormente penalizzati dal fatto che per legge investono la liquidità soprattutto in titoli di Stato.

(Teleborsa) 

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