Dazi anti-Cina contro le auto elettriche, quanto rischia l'Europa
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AperturaAuto Dom 18 giugno 2023

Dazi anti-Cina contro le auto elettriche, quanto rischia davvero l'Europa

La decisione della Commissione europea di studiare dei dazi sulle auto elettriche cinesi per contrastare la sempre più massiccia importazione Dazi anti-Cina contro le auto elettriche, quanto rischia davvero l'Europa Una linea di produzione auto
Maurizio Cattaneo
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Maurizio Cattaneo

Valutazioni  positive e qualche critica (in verità dal governo di un solo Paese) all’indomani della decisione della Commissione europea di  studiare dei dazi sulle auto elettriche cinesi per contrastare la sempre più massiccia importazione, che minaccia la produzione continentale e mette a rischio migliaia di posti di lavoro. Lo stesso commissario Ue per il mercato interno, Thierry Breton, sarebbe “molto favorevole” all’avvio dell’indagine. Il punto cardine del problema sta nel fatto che le auto elettriche prodotte a Pechino usufruirebbero in patria di agevolazioni tali da configurare quanto meno il sospetto di concorrenza sleale se esportate verso i 27 Paesi dell’Unione. Da qui il faro antidumping dell’Ue che verrebbe acceso già da luglio.

Il governo cinese e la conquista dei mercati

Da sempre il sistema cinese si basa su giganteschi programmi di sovvenzioni statali per le industrie che il partito comunista vuole trasformare in campioni globali, cosa che è vietata per le industrie europee, che si trovano quindi in una situazione di svantaggio. Per questo l’Unione europea ha già messo barriere su prodotti cinesi come l’acciaio e l’alluminio o i pannelli solari, ma finora ha evitato di prendere di mira beni come automobili, treni e dispositivi medici, per timore di scatenare le ire di Pechino e una conseguente guerra commerciale con imposizione di tariffe anche da parte del gigante asiatico. Tariffe che potrebbero mettere in seria difficoltà l’industria europea. Per questo c’è estrema prudenza all’interno dell’Ue su come affrontare il boom delle esportazioni cinesi di automobili.

Una decisione che vale 24 miliardi di euro

Ma è quantificabile l’entità del pericolo che rappresenta dal Dragone?  Secondo uno studio condotto da Allianz Trade i produttori europei potrebbero perdere 7 miliardi di euro di profitti entro il 2030.  Le importazioni cinesi di veicoli elettrici, prevede lo studio, potrebbero costare un totale di 24 miliardi di euro in termini di produzione economica nel 2030, che si traduce in un calo dello 0,15% del Pil in Europa.

E stando a quanto riportato in un recente studio della società di analisi Pwc, entro il 2025 potrebbero essere importate in Europa fino a 800.000 autovetture di fabbricazione cinese, la maggior parte delle quali elettriche. Secondo il rapporto, questa tendenza trasformerebbe l’Europa in un importatore di automobili, con un surplus di importazioni, nel 2025, di oltre 221.000 veicoli. Tanto per dare un’idea del ribaltone, nel 2015, il surplus di esportazioni europee era di circa 1,7 milioni di veicoli, mentre già nel 2022 questo valore è sceso a  sole 76.000 unità.

L’Europa ad un grande bivio

Da un lato ci sono tutta una serie di Paesi favorevoli allo scudo anti-cinese. In prima linea c’è Parigi (ovvero il Gruppo Stellantis  e Renault) che stanno investendo molto nella trasformazione dell’industria automobilistica, e sostengono il lavoro della Commissione Ue. “Non dobbiamo ripetere nel mercato delle auto elettriche  – ha detto il presidente francese  Macron – gli errori che abbiamo commesso con il fotovoltaico, dove abbiamo creato una dipendenza dall’industria cinese e fatto prosperare i suoi produttori”. Sulla stessa linea  Carlo Tavares, Ceo di Stellantis.

“Molto semplicemente – ha detto il numero uno del gruppo italo-francese – , dovremmo chiedere all’Unione Europea di imporre ai produttori cinesi che esportano automobili in Europa almeno le stesse condizioni con le quali i produttori occidentali esportiamo in Cina”. Il ceo di Stellantis ha fatto presente che i marchi cinesi oggi devono pagare dazi del 10% per importare auto nell’Unione europea mentre le case automobilistiche del Vecchio Continente si confrontano con dazi fra il 15% e il 25% per esportare in Cina veicoli costruiti in Europa.

Divisa invece è  la Germania che da tempo vanta un rapporto privilegiato di import-export con Pechino. Il governo di Berlino ritiene che le potenziali ritorsioni potrebbero rendere la vita ancor più difficile alle aziende europee che hanno grandi investimenti in Cina. Per giunta, proprio in questi giorni, l’esecutivo tedesco sta  preparando l’imminente vertice, quando il cancelliere Olaf Scholz  ospiterà i ministri cinesi. Ma il governo deve fare i conti con una industria automobilistica tedesca che  vuole le restrizioni e dunque la partita è aperta. Per quanto riguarda l’Italia, il governo in sintonia con Washington sta valutando la nuova strategia  riguardo la Via. della Seta.

Il Dragone pronto a piantare la bandiera

Intanto negli ultimi mesi, marchi cinesi come Byd, Great Wall e Ora hanno lanciato una massiccia offensiva di vendita in Europa, dove stanno rapidamente guadagnando quote di mercato con veicoli elettrici di qualità sempre maggiore e a basso prezzo. Non solo: il Dragone sta anche accelerando sulla strada di costruire propri impianti industriali in Europa e negli Usa. Marchi storici, come Volvo, sono già da tempo  cinesi. E Great Wall ha annunciato di voler aprire un grande stabilimento in Ungheria o in Repubblica Ceca.

La ricetta americana

In Europa c’è chi guarda a ciò che è stato deciso negli Usa. Il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha varato nuove regole fiscali per i veicoli elettrici che diminuiscono o elimineranno del tutto i crediti d’imposta per le vetture prodotte all’estero. Una mossa pensata proprio per contrastare la Cina, la maggiore produttrice al mondo sia di auto elettriche che di batterie. Le nuove norme  si basano sulle disposizioni dell’ Inflaction reduction act, il piano di Biden per la transizione green da 369 miliardi di dollari.

In sostanza le agevolazioni fiscali scattano se  almeno il 50% dei componenti per batterie sia prodotto o assemblato in Nord America (requisito che dà accesso a 3.750 dollari) e che il 40% dei minerali utilizzati sia estratto in Usa o in Paesi che hanno un accordo di libero scambio con Washington (requisito che dà accesso ad altri 3.750 dollari). Vi sono poi incentivi diretti all’acquisto di auto nuove: lo “sconto” arriva a 7.500 dollari se l’auto prescelta ha almeno il 65% dei componenti prodotti  negli Stati Uniti. Anche in questo caso nel mirino c’è la Cina.

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