Poche materie prime, ma l'Italia esporta sempre più rottame ferroso
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AperturaEconomia Sab 29 aprile 2023

Le materie prime scarseggiano, ma l'Italia esporta sempre più rottame ferroso

Secondo lo studio dell'osservatorio Luiss - T-Commodity, dal 2000 l’esportazione di rottami ferrosi ha segnato un boom del 347% Le materie prime scarseggiano, ma l'Italia esporta sempre più rottame ferroso Miniera d'oro
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Le materie prime scarseggiano, ma l’Italia esporta più rottame ferroso

Non c’è materia prima sufficiente a soddisfare le esigenze dell’industria siderurgica. Ma invece di correre ai ripari riciclando, l’Italia continua a crescere nell’esport di rottame ferroso. Lo rivela uno studio del Policy Observatory della Luiss firmato di  Gianclaudio Torlizzi, fondatore della società di consulenza T-commodiety, sul “perchè l’Italia ha bisogno di un piano minerario nazionale”. Argomento caldo vista la crisi sul gas provocata dalla guerra fra Russia e Ucraina. E soprattutto un tema che il governo di Giorgia Meloni ha preso a uore con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dell’Italia dall’estero sul fronte materie prime e terre rare. 

Lo stato dell’arte

“Sul fronte del rottame ferroso, in Italia non si generano rottami ferrosi in quantità sufficiente a soddisfare la capacità siderurgica installata attraverso impianti a forno elettrico (Electric Arc Furnace) se si considera che per produrre tra i 17 e i 20 milioni di tonnellate annui di acciaio vengono importate su base netta tra i 4 e i 6 milioni di tonnellate di rottame (principalmente da altri Paesi europei” si legge nell’analisi.

“Va segnalato altresì che l’esportazione di rottami ferrosi, marginalmente sempre presente, si sta connotando negli ultimi anni come un fattore di mercato vero e proprio. Nei primi anni 2000 si esportavano circa 190.000 tonnellate annue, mentre oggi vengono esportate circa 850.000 tonnellate annue (pari a una crescita del +347%)” sottolinea l’esperto.

“A livello europeo, l‘export di rottame ferroso ammonta a circa 20 milioni di tonnellate. Se il trend di crescita si è mantenuto costante dal
2013 al 2019, negli ultimi anni l’esportazione ha subito una spinta dovuta alle difficoltà delle acciaierie Italiane (Covid e crisi energetica) a beneficio dei Paesi nei quali le politiche di contenimento Covid sono state meno restrittive e la crisi energetica ha avuto impatti minori (o nulli) come nel caso di Turchia, Pakistan, e India”  aggiunge Torlizzi.

Non solo rottami ferrosi. L’elettrificazione richiede materiali pregiati e scarsi

Nel testo Torlizzi spiega che il passaggio da un sistema energetico basato sulle fonti fossili ad uno basato sull’elettrificazione significa non solo ristrutturare l’intera infrastruttura energetica ma rivedere totalmente anche la catena di approvvigionamento.

Di conseguenza “la transizione energetica si tradurrà in un aumento della domanda di metalli critici tra cui rame, litio, nichel, manganese, cobalto, grafite, molibdeno, zinco, terre rare e silicio, il cui controllo si trova principalmente nelle mani della Cina. Se si considera che la Cina è anche leader indiscusso nella raffinazione di una gamma di minerali, si comprende perché Pechino è il principale produttore mondiale di veicoli elettrici” precisa Torlizzi.

Com evidenzia l’analisi, a titolo di esempio, un’automobile alimentata con batteria al litio contiene una quantità di rame pari a 2 volte e mezzo quelle di un’auto a combustione, mentre una pala eolica offshore utilizza una quantità di metalli e terre rare nove volte superiore a quella di un impianto a gas per la generazione di energia.

Secondo le stime di Bloomberg, al fine di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050, saranno necessari una quantità di metallo per un controvalore di 10 mila miliardi di dollari e una quantità di 242 milioni di tonnellate dalle attuali 52 milioni di tonnellate. Considerata l’attuale offerta mondiale,  la maggior parte dei metalli utilizzati nel processo di transizione energetica sarà per forza di cose interessata da una carenza strutturale nell’arco dei prossimi anni. Con tutti gli annessi e connessi anche in termini geopolitici. E la Cina che ha un ruolo dominante non solo all’interno dei confini nazionali, ma anche in Africa. 

Di qui la proposta per un Piano Nazionale Minerario 

Obiettivo: aumentare la produzione nazionale di metalli raffinati. Per fare in modo che ciò accada il primo passo da compiere è una mappatura geologica del Paese. “L’individuazione dei giacimenti da sfruttare dovrà andare di pari passo con l’aggiornamento delle normative che regolano l’attività mineraria ferme al Regio Decreto N° 1443 del 1927, successivamente modificato in modo da includere, tra gli anni Ottanta e Novanta, le Regioni che, con la sola eccezione del petrolifero ancora sotto la giurisdizione dello Stato centrale” spiega.

Detta in altri termini, “lo Stato dovrà riconoscere l’importanza dell’attività mineraria, nella tutela dell’interesse nazionale, intervenendo (ed intervenire) attivamente nella strategia di approvvigionamento“. E anche del riciclo incentivandolo e mettendo dei paletti all’esport di rottame ferroso. Il motivo? ” Il rottame, fondamentale per il raggiungimento dei target di decarbonizzazione nel comparto siderurgico e dei metalli ” conclude l’analisi.

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