Materie prime, ci vogliono 10 anni per far partire una miniera - V&A
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Economia/Approfondimenti
ApprofondimentiEconomia Dom 05 marzo 2023

Materie prime, in Italia ci vogliono dieci anni per far ripartire una miniera

Valutazioni dei giacimenti, perforazioni e l'attività estrattiva con investimenti da decine di milioni. L'Italia è 20 anni in ritardo Materie prime, in Italia ci vogliono dieci anni per far ripartire una miniera GLENCORE MINIERA ESTRAZIONE CROMO DI MAGARENG STABILIMENTO METALLO METALLI
Fiorina Capozzi
di 
Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Due lustri e decine di milioni di investimento

E’ il minimo sindacale per far decollare un’attività estrattiva. Fra ricerca, esplorazione e permessi vari il tempo vola. Proprio mentre ci sarebbe invece bisogno di fare presto. Le pressioni di Bruxelles sulla transizione ecologica e i cambiamenti geopolitici in atto stanno infatti alimentando la corsa dei prezzi sulle materie prime, elementi essenziali allo sviluppo dell’industria green. Di recente c’è stato un rallentamento, ma fra gli esperti c’è chi è pronto a scommettere che si tratta solo di una breve oausa, non di un’inversione di tendenza.

“Bisogna sbrigarsi, è necessario recuperare tutto il tempo perso. Con la chiusura delle miniere nel secolo scorso siamo rimasti indietro nel know how minerario di almeno vent’anni rispetto ad altre parti del mondo e ora dobbiamo ripartire rapidamente” spiega Fiorenzo Fumanti, ricercatore dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.

L’esecutivo sta valutando il da farsi

Non a caso in questa fase il governo di Giorgia Meloni sta pianficando l’investimento di nuove risorse sul settore minerario. Incluso il budget da destinare alla ricerca e all’aggiornamento della mappa mineraria nazionale che rappresenta un importante tassello strategico per il Paese. Dall’Ispra spiegano che per aggiornare la cartina ci vorrà ancora tempo, rispetto a quanto previsto dai precdenti governi. Ma a stretto giro, nel mese di marzo, sarò pronto il database geologico minerario, una prima mappatura dei siti esistenti sul territorio nazionale. Nel documento saranno “localizzati tutti i siti minerari presenti sul territorio nazionale negli ultimi 150 anni cioè dal 1870 ad oggi” spiega Fumanti.

Una volta definito il database, l’Ispra dovrà poi procedere ad una valutazione complessiva dei siti. “Molti di quei giacimenti sono ancora da rivalutare perché alcuni sono stati sfruttati addirittura a fine 800 e poi sono stati chiusi perchè le conoscenze tecniche dell’epoca non permettevano di andare oltre” aggiunge l’esperto. “Attualmente ci sono giacimenti dichiarati esauriti, come Gorno, ma in realtà è stato dimostrato che lì c’è uno dei più importanti giacimenti di piombo e zinco d’Europa” precisa Fumanti.

Non si tratta di un caso isolato. Anche a Punta Corna in Piemonte c’è un giacimento di Cobalto che è sfruttato dal 1750, ma il materiale veniva utilizzato solo come colorante. Anche perché l’estrazione era complicata a 2500 metri d’altezza sulle Alpi e veniva fatta a mano. “Attualmente con gli studi della compagnia italo-australiana Altamine si è visto che c’è un giacimento consistente” chiarisce l’esperto. Il territorio italiano cela dunque più risorse di quante immaginiamo. Così, una volta effettuata la rivalutazione, si passerà ai bandi per la ricerca esplorativa operativa che viene realizzata dalle compagnie minerarie.

Il processo lungo e complesso

“Una ricerca simile richiede decine di milioni di euro per un singolo sito su cui opera la compagnia mineraria che prima ottiene il permesso di ricerca e poi, dopo tutte le verifiche del caso, avvia l’attività estrattiva se c’è certezza della redditiovità dell’investimento” aggiunge Fumanti. Intanto, come spiega l’esperto, sarebbe bene se ripartisse l’intera filiera mineraria coinvolgendo università, giovani ricercatori e istituti professionali.  Tutto questo per realizzare un’estrazione mineraria sostenibile con l’obiettivo di ridurre progressivamente la dipendenza del nostro Paese dall’estero.

E’ questo del resto l’intento del Critical Raw Materials act, promosso dalla commissione europea e dalla presidente Ursula von der Leyen che ha indicato le mosse da compiere per far ripartire l’attivurò estrattiva del Vecchio continente. “Al momento l’Italia è totalmente dipendente per quello che riguarda le risorse minerarie. In generale, in Europa, sui minerali metalliferi a parte Finalandia e paesi scandinavi, stiamo tutti messi male perché abbiamo delegato” prosegue Fumanti.

“Già nel secolo scorso c’erano documenti visionari di dirigenti del Mise mettevano in guardia su questi aspetti evidenziando che c’era un rischio di totale dipendenza dai mercati esteri e non sarà positivo. Certo come nel caso del gas, veniva venduto a prezzi bassissimi, quindi perché usare il nostro? Sull’attività mineraria è stato fatto lo stesso: perché sfruttare i nostri giacimenti con tutti gli annessi e connessi del caso? E cioè problemi ambientali, l’opposizione della popolazione quando i materiali si compravano all’estero a buon mercato” spiega. Una strategia vincente fino ad un certo punto.

Ridurre oggi la dipendenza dai Paesi stranieri non è facile

Anche perché oltre all’attività estrattiva in senso stretto dovrebbe anche ripartire un intero apparato industriale. Finalità, quest’ultima, che si pone la Comunità europea. “La situazione energetica non rende facile il processo dal momento che gli impianti di trattamento sono anche strutture energivore” conclude.“Se vuoi iniziare da zero ci vuole tanto tempo nell’ordine di una decina di anni perché ci sono dei tempi burocratici che possono essere in qualche modo compressi o accelerati. Che sono i tempi della valutazione di impatto” conclude. “Nessuno spende milioni di euro se poi non si è sicuri che ci sia una risorse economicamente sfruttabile, cioè conveniente sotto il profilo economico”.

Così bisogna fare perforazioni, analisi e studi può richiedere più dei due anni previsti per il permesso di ricerca. Prova ne è il fatto che a Gorno sono almeno quattro o cinque anni che stanno facendo ricerca e hanno già investito 16 milioni di euro senza ancora far ripartire l’attività estrattiva. Certo ci sono anche situazioni più accessibili. A Giacurro in Sardegna, dove c’è una miniera di magnetite,  l’attività è ripartita nel giro di cinque anni. “I tempi possono spaventare, ma se non si inizia adesso non si inizia mai” conclude.

Condividi articolo