Lavoro, Inps: il tasso di occupazione è ai massimi storici (61%)
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AperturaLavoro Mer 13 settembre 2023

Lavoro, Inps: il tasso di occupazione è ai massimi storici (61%)

Bene il taglio del cuneo fiscale. Ma c'è ancora tanta strada da fare. Come rileva l'Inps il lavoro povero è diffuso e le retribuzioni al palo Lavoro, Inps: il tasso di occupazione è ai massimi storici (61%)
Redazione Verità&Affari
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Per l’Inps il tasso di occupazione è ai massimi storici. Ma gli italiani che fanno fatica ad arrivare a fine mese sono sempre di più. Qualcosa evidentemente non quadra nel meccanismo di rilevazione. Oppure semplicemente il lavoro povero o mal retribuito è in deciso aumento. Inoltre i salari sono al palo, ma  il taglio del cuneo fiscale voluto dal governo Meloni ha giocato a favore del potere d’acquisto.

Intanto il pil 2022 è aumentato in Italia del 3,7%. “L’economia ha interamente recuperato quanto perso nel 2020, raggiungendo livelli superiori a quelli antecedenti la crisi. Differentemente da quanto accaduto nelle precedenti fasi di ripresa, il recupero italiano risulta più ampio di quello registrato dagli altri principali paesi dell’area euro. La crescita dell’economia ha favorito un sensibile miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro” spiegano dall’Inps. 

Il tasso di attività e il tasso di occupazione navigano sui massimi storici

I due dati sono però in leggera flessione secondo gli ultimi dati di luglio 2023. Il contributo delle donne risulta significativo: il tasso di occupazione ha subito un incremento maggiore di quello registrato dal dato complessivo. Per l’sitito previdenziale , a livello settoriale, la ripresa dell’occupazione si è sviluppata in maniera eterogenea, con le costruzioni che hanno beneficiato delle agevolazioni fiscali. Il manifatturiero ha invece subito ripercussioni dalla complessità dello scenario internazionale, mentre i servizi che hanno risentito del ritardato ritorno alla crescita.

Secondo l’ente prevideziale , il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, oltre ad essere quantitativo, è anche qualitativo. “Il lavoro dipendente assorbe il 78% dell’occupazione totale, 6 punti percentuali in più di quanto registrato nella prima parte degli anni Duemila” ha chiarito il commissario Inps, Micaela Gelera, in occasione della presentazione a Montecitorio del XXII Rapporto Annuale dell’Inps.

Non mancano i punti dolenti

“Il tasso di occupazione attualmente raggiunge il 61% segnalando una forte capacità di ripresa del nostro paese con un notevole recupero occupazionale in Italia nel periodo successivo alla pandemia. Esso riguarda soprattutto il lavoro dipendente, che si è caratterizzato per un aumento delle assunzioni e per una maggiore stabilità lavorativa” ha aggiunto. Non mancano però alcune criticità: l’invecchiamento della popolazione, il persistente divario territoriale tra Nord e Sud, nonché la divaricazione tra lavoro dipendente, in aumento, e il lavoro autonomo, in diminuzione. Inoltre, i principali indicatori del mercato del lavoro italiano, seppur migliorati rispetto al passato, rimangono significativamente al di sotto delle medie dei paesi dell’Unione Europea o di paesi come Francia e Germania.

acciaioGli assicurati Inps rappresentano circa il 95% dei lavoratori italiani

Rispetto al 2019, considerato come l’anno di riferimento pre-pandemia, nel 2022 sia il numero degli assicurati sia il numero medio di settimane lavorate sono aumentati. Il numero degli assicurati è salito a oltre 26,2 milioni di persone con almeno un versamento contributivo, rispetto ai 25,5 milioni del 2019. Le settimane lavorate in media sono passate da 42,9 a 43,0. Si osserva anche una crescita dei dipendenti privati e dei lavoratori della Gestione Separata, mentre il lavoro autonomo ha registrato una significativa contrazione. Inoltre, si evidenzia un aumento significativo
dei contributi sociali, che nel 2022 sono stati pari a 236,3 miliardi di euro (al lordo delle agevolazioni), registrando una crescita del 9,3% sia rispetto al 2019 che al 2021. Considerando il rapporto tra i contributi sociali e l’insieme dei redditi e delle retribuzioni imponibili, si determina per il 2022 un’aliquota contributiva implicita pari al 36,6%.

Bene il lavoro dipendente

Il lavoro dipendente in Italia vent’anni fa rappresentava circa il 72% dell’occupazione, oggi il 78%. Si tratta di una continua crescita che non si è arrestata neppure a seguito della pandemia, grazie anche alle notevoli tutele introdotte dal legislatore. L’andamento, negli anni oggetto di analisi, è determinato soprattutto dal settore privato a tempo indeterminato.

Per quel che riguarda, invece, l’incidenza del lavoro part time sull’occupazione complessiva (dipendenti privati, pubblici e lavoratori autonomi) è, secondo l’ISTAT, attorno al 18%, in linea con la media UE-27. Un valore medio – sottolinea l’Inps – che nasconde una notevole eterogeneità, con paesi come i Paesi Bassi dove l’incidenza del part time raggiunge il suo valore massimo (oltre il 40%) e paesi come, ad esempio, la Bulgaria e la Romania dove si osservano valori distanti dalla doppia cifra.

Anche la differenziazione per genere in Italia è in linea con la media europea: tra gli uomini la quota di part time è circa l’8%, mentre supera il 30% tra le donne. Si nota, inoltre, che facendo riferimento ai dati amministrativi medi del 2022, il part time è stato pari al 7% tra i dipendenti pubblici a tempo indeterminato, al 26% tra i dipendenti privati a tempo indeterminato e al 45% tra i dipendenti privati a tempo determinato.

Rallenta il lavoro autonomo

 Il lavoro autonomo “classico” da anni registra un costante declino. Tuttavia, – spiega l’Inps – bisogna distinguere gli autonomi tra nati in Italia e nati all’estero; infatti tra gli artigiani, commercianti e lavoratori autonomi nel settore agricolo si registra una riduzione per i primi e un aumento per i secondi. In aumento risulta anche il numero degli iscritti contribuenti alla Gestione Separata, come amministratori, collaboratori, medici specializzandi, con una crescente presenza di professionisti (senza cassa ordinistica).

Nessuna ondata di licenziamenti, ma molte dimissioni volontarie

Nel periodo post-pandemia non c’è stata alcuna significativa ondata di licenziamenti. Infatti, i beneficiari di almeno un giorno di NASpI nell’anno 2022 (2,626 milioni) sono inferiori a quelli del 2019 (2,754 milioni). Per quel che riguarda gli altri sussidi a sostegno dei disoccupati, oltre a descrivere la consistenza numerica della DIS-COLL, si riportano alcune prime statistiche sui recenti provvedimenti di tutela dei professionisti della Gestione Separata (ISCRO) e dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori autonomi dello spettacolo (ALAS).

Differente l’evidenza del fenomeno delle dimissioni volontarie, che – ha spiegato Gelera nella sua relazione – risulta in forte crescita (+26% rispetto al 2019). Tuttavia, almeno nel nostro paese, non sarebbe corretto parlare di Great Resignation perché i tassi di rioccupazione nel breve periodo sono aumentati rispetto a quelli registrati negli anni precedenti la crisi pandemica: non un ritiro dal mercato del lavoro bensì un’aumentata mobilità, alla ricerca di migliori condizioni.

Retribuzioni al palo, mangiate dall’inflazione. Ha funzionato il taglio del cuneo fiscale

L’aumento dei lavoratori dipendenti e il recupero dell’intensità di lavoro si riflettono sull’andamento delle retribuzioni. La retribuzione media giornaliera dei dipendenti (ad esclusione dei lavoratori domestici e degli operai agricoli) – ha proseguito Gelera – risulta pressoché stabile tra il 2019 e il 2022 a fronte di un fenomeno inflattivo contenuto fino al 2021, con forti tensioni dal 2022, dovute alla guerra in Ucraina e all’incremento dei costi energetici, ma attualmente in flessione. Si registrano però forti differenze in funzione dell’intensità e della tipologia di lavoro. Un fattore importante di differenziazione è il settore economico di impiego: si osservano minori incrementi delle retribuzioni medie nei settori delle costruzioni, dei servizi di supporto alle imprese (in cui è compreso il lavoro somministrato) e di quelli di alloggio e ristorazione”.

A sostenere il potere d’acquisto delle retribuzioni, soprattutto di quelle medio-basse, hanno contribuito i provvedimenti di decontribuzione a favore dei lavoratori che, a parità di retribuzione lorda, ne hanno incrementato l’imponibile fiscale e la retribuzione netta: una misura efficace, introdotta dalla legge di bilancio 2022, confermata per l’anno 2023 e potenziata nel secondo semestre dell’anno. Lo sgravio ha infatti prodotto, nella seconda parte dell’anno 2022, un sensibile aumento
delle retribuzioni mensili, se rapportato al limite di reddito previsto per l’applicazione dell’agevolazione. Si stima che per il secondo semestre del 2023 l’aumento della retribuzione lorda mensile sia nell’ordine dei 100 euro.

Working poor 

I lavoratori poveri (quelli che hanno retribuzioni inferiori al 60% della mediana) tra i dipendenti privati a ottobre 2022 erano 871.800, pari al 6,3% della platea di riferimento. Ma questo – segnala l’Inps nel Rapporto annuale – è dovuto probabilmente a una bassa intensità di lavoro più che a una retribuzione bassa. I working poor “risultano particolarmente addensati tra i dipendenti a part time (oltre mezzo milione). Ma non è possibile precisare ulteriormente, a questo livello di indagine, quanta parte del loro deficit retributivo sia attribuibile a una bassa intensità di impiego (part time di poche ore) e quanta, invece, a livelli salariali orari insoddisfacenti”.

“Per quanto riguarda gli oltre 350mila lavoratori poveri a full time, essi risultano in buona parte riconducibili a due tipologie contrattuali specifiche (apprendistato e intermittente) mentre, per la quota restante, contano significativamente condizioni sia di assenza temporanea sia di situazione transitoria (superata nell’arco dell’anno)”. I working poor a full time per ragioni salariali – scrive l’Inps – sono 20.300 (0,2% sul totale della platea dipendenti) e distribuiti tra un numero rilevante di contratti, inclusi quelli con le platee più vaste e firmati dalle organizzazioni sindacali maggiori. I working poor risultano quindi sotto il profilo numerico “una componente marginale dell’insieme del lavoro dipendente”.

“Ciò non esclude (anzi) – si legge – che la loro presenza sia concentrata in aree borderline rispetto ai normali rapporti di lavoro dipendente: partite Iva attivate in alternativa all’impiego come dipendente; posizioni formalmente riconducibili a istanze di completamento della formazione professionale (stagisti, praticanti etc.) e idonee a camuffare rapporti e aspettative simili di fatto a quelle sottese al “normale” rapporto di lavoro dipendente; posizioni di lavoro autonomo occasionale o parasubordinato. Senza dimenticare – conclude l’Inps – le varie tipologie di lavoro nero, integrale o associato a posizioni parzialmente irregolari”.

(Teleborsa)

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