La crisi non è una, ma sono 4 insieme: uno studio spiega la verità
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Mondo Mar 25 ottobre 2022

La crisi non è una, ma sono 4 insieme: uno studio spiega la verità

Sono svariate e diversissime tra loro le crisi che hanno reso cruciali i tempi. Sono quattro le crisi globali che frenano la crescita. La crisi non è una, ma sono 4 insieme: uno studio spiega la verità
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

Cosa sta accadendo all’economia

Sono svariate e diversissime tra loro le crisi che hanno reso cruciali i tempi che stiamo vivendo. Quella più immediatamente percepita dai normali cittadini è certamente la pandemia da Covid-19, che ha fatto molto di più che provocare milioni di morti: si è anche rivelata, purtroppo, un efficacissimo catalizzatore dell’inceppamento di un’economia globale già insicura, ulteriore elemento di divario tra ricchi e un numero di poveri o quasi poveri in forte aumento, tra giovani senza lavoro a tempo indeterminato e privi di un ‘piano di vita’ e anziani con pensioni basse anche se relativamente sicure.

Crisi pandemica e crisi energetica hanno accelerato la terza trasformazione di cui si tratta lo studio realizzato da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi che riguarda il modo di lavorare. La pandemia ha accelerato la tendenza, già in atto, al lavoro da remoto, provocando, tra l’altro, la caduta della domanda di superfici per uffici e l’aumento della domanda di abitazioni più vaste, in grado, appunto, di includere spazi per il lavoro a distanza.

Congiunto al mutamento economico-sociale, sta delineandosi un cambiamento finanziario di vastissima portata: si modificano i modi di raccogliere il risparmio e le risorse finanziarie in genere, gli obiettivi di risparmiatori sempre più anziani e anche, sotto la spinta di Internet, le modalità delle transazioni. La quarta trasformazione riguarda l’ordine geopolitico del pianeta, alla luce della guerra d’Ucraina, ma non solo. Più tensioni e conflitti quindi, e meno commerci, quasi certamente minore sviluppo, con le relazioni economiche che da globali paiono restringersi in ambiti più angusti, regionali nei migliori dei casi e con crescenti tentazioni autarchiche.

Un fattore decisivo è legato al rapporto sino-russo. Nel 1990, alla fine della Guerra Fredda, Mosca e Pechino generavano rispettivamente il 3,4 e il 2 per cento del pil mondiale; nel 2021 la loro quota sfiorava il 20 per cento, di cui il 18 per cento cinese. Se, per scelta ragionata o per costrizione prodotta dalle sanzioni politico-economiche occidentali, la Russia approfondisse il ‘partenariato strategico’ con la Cina, finirebbe per diventare il ‘socio di minoranza’ dell’alleanza. Ma il blocco dei Paesi occidentali rischierebbe per contro di scendere sotto il 50 per cento del pil mondiale.

Tutte e quattro le crisi influenzano un’economia mondiale che sta perdendo rapidamente i suoi caratteri di globalità e riducendo altrettanto rapidamente le proprie capacità di crescita, tanto da indurci a intitolare questa ricerca Il mondo postglobale. Le criticità politiche ed economico-industriali che stanno emergendo dal conflitto ucraino, accanto alla ricomparsa di dinamiche inflattive, che le economie mature non sperimentavano da decenni, non possono non influire – tra l’altro – sugli obiettivi fissati dalla recovery and resilience facility delineata dalla Commissione europea e di cui l’Italia è la principale beneficiaria. Anche perché la nuova inflazione – un mix di problemi tecnici legati al sempre peggiore funzionamento di molte catene globali del valore, da quelle alimentari fino ai microchip – è profondamente diversa dai fenomeni inflazionistici del secolo scorso.

Contro di essa le “cure tradizionali”, di carattere fiscale e monetario, si sono rivelate poco efficaci. L’Unione Europa, con la Bce, sta promuovendo contro la spinta inflattiva risposte di tipo nuovo, piuttosto diverse rispetto a quelle della Fed americana. I ‘meccanismi’ economici di Bruxelles sono considerati normalmente lenti e complicati, tuttavia da un punto di vista storico l’Europa mostra una crescita istituzionale assai rapida se paragonata a quella degli Stati Uniti. Gli avvenimenti recenti, però, hanno purtroppo messo a nudo la vulnerabilità energetica dell’Europa e, di concerto, la difficoltà a realizzare gli ‘obiettivi verdi’, pur culturalmente molto appetibili. E poiché il mondo non aspetta, l’Europa dovrà in tempi brevi occuparsi a fianco di queste tematiche anche di coordinamento sanitario, di supporto alla disoccupazione e ai giovani, di forze armate. E della revisione dei trattati.

In tale quadro si inserisce un’analisi dettagliata dell’Italia; una economia che esprime ambiti d’eccellenza ma resta gravata – ad esempio – dalla presenza di troppe micro-imprese, perché i meccanismi regolatori le hanno incentivate a rimanere piccole: il 92 per cento dei dipendenti privati è occupato in aziende con meno di 50 milioni di fatturato. E si avanzano diverse proposte: una riforma fiscale che renda conveniente lavorare e investire, una revisione della disciplina fiscale sulle fusioni che incoraggi le piccole imprese a crescere, l’introduzione del quoziente famigliare nella tassazione diretta e l’introduzione sperimentale della settimana lavorativa di quattro giorni, integrata da attività di formazione a distanza. L’export resta, per l’Italia, un driver essenziale, ma il triangolo industriale ha incominciato a segnare il passo.

Se la dinamica delle esportazioni del nord-ovest industriale fosse stata la stessa della media di nord-est e Italia centrale, l’impulso al pil italiano sarebbe stato di 6 punti aggiuntivi per ogni decennio; per conseguenza, la distanza media fra la dinamica del pil europeo e quella del pil italiano sarebbe stata pari a meno della metà di quella che si è avuta nei fatti. Per l’Italia e per il resto del mondo, è legittimo domandarsi se ci troviamo di fronte a un cambiamento senza precedenti oppure se qualcosa del genere possa essere già successo nella storia. E per sbirciare il futuro studiando il passato, occorrono pensieri nuovi, nuove analisi e sguardo lungo.

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