Telecomunicazioni più di 20 mila posti a rischio- V&A
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Primo pianoTlc Dom 19 marzo 2023

Tlc, più di 20 mila posti a rischio, ma aiuti fermi in attesa di Tim

Il settore è in crisi da tempo e i problemi sono stati messi sul tavolo nei recenti incontri voluti dal governo. Tutto però resta bloccato Tlc, più di 20 mila posti a rischio, ma aiuti fermi in attesa di Tim
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

Esuberi in Vodafone

L’ultima a dichiarare in modo ufficiale la necessità di tagliare l’organico è stata Vodafone – ci sono mille persone in esubero – ma la verità è che con la concorrenza spietata del mercato italiano tutti gli operatori (fatta eccezione per Iliad) hanno pensato o stanno pensando di dare un sforbiciata alla forza lavoro. I sindacati parlando di più di 20 mila persone a rischio, ma si tratta di stime da prendere con le pinze. Il numero potrebbe oscillare in alto o in basso a seconda di come andrà la partita su Tim che da sola ha più di 40 mila dipendenti, eppure i problemi del settore sono atavici e ben conosciuti.

Percentuali e statistiche dell’ultimo report dell’ufficio studi di Mediobanca parlano chiaro: tra il 2010 e il 2021 il giro d’affari del settore delle telecomunicazioni si è ridotto di 14 miliardi di euro. In media una perdita di circa il 4% all’anno con la rete mobile (meno 5%) in maggiore affanno. Tanto per dare qualche specifica, secondo l’AgCom gli incassi per gli Sms sono diminuiti di 2 miliardi e quelli “voce” di 5,6 nel fisso e 6,3 nel mobile. Motivi? Diversi. Ma quello principale resta l’eccesso di concorrenza. In Italia si fanno guerra sul mercato troppi operatori e questo ha comportato una contrazione delle tariffe ben più marcata rispetto al resto d’Europa: tra il 2017 e il 2021 c’è stata una riduzione del 20% contro la media Ue che è di poco sotto il 5%.

Il confronto mondiale

Nessuna meraviglia quindi se dal raffronto tra i conti aggregati dei principali operatori italiani e quelli dei big mondiali emerge che la redditività dei primi è decisamente più bassa. E meno ancora stupisce il fatto che questo divario si sia allargato a dismisura nel quadriennio 2017-2021. Il mercato italiano, causa calo del giro d’affari e rialzo dei costi, è passato da un ebit margin (redditività delle vendite) del 13,5% nel 2017 al 3,3% del 2021. Paragone impietoso rispetto al 15,9% delle big mondiali che era 14,2% nel 2017.

Il problema è che quello delle telecomunicazioni è un settore che si basa sugli investimenti. Servono per realizzare su larga scala il 5G, sono necessari per aumentare la diffusione della fibra e per cogliere tutte le opportunità di crescita che arrivano dalle nuove tecnologie (cloud, intelligenza artificiale e servizi Ict) e dalla diversificazione industriale (offerta di nuovi servizi che vanno dai pagamenti digitali alla cybersecurity). Chiaro che se i tuoi margini diminuiscono e comunque sono inferiori rispetto alla concorrenza, il gap con la stessa concorrenza sia destinato ad aumentare. 

Il tavolo voluto dal governo

Se questo è il quadro è evidente che servano delle soluzioni. Lo sa bene il governo tant’è che ha organizzato più incontri per sollecitare le richieste degli operatori e delle altre aziende del settore e mettere in campo un pacchetto di misure. Si è parlato dell’intervento sull’Iva, della prosecuzione dell’utilizzo dei voucher per promuovere lo sviluppo della domanda e della modifica dei limiti dell’inquinamento elettromagnetico.

Ma l’impressione è che sia tutto fermo nell’attesa che si risolva la partita Tim e sulla rete Tim. Da un certo punto di vista è comprensibile. L’infrastruttura è centrale e gli attori in campo – da Cdp per passare ai fondi (Kkr e Macqauarie) e alle società come Open Fiber – sono i principali driver delle telecomunicazioni sia da un punto di vista industriale che finanziario. Dall’altro lato bisognerebbe entrare nell’ordine di idee che parliamo di un settore che sembra non avere più tempo prima che si inneschi un effetto distorsivo a catena. 

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