Cdp vede un'opportunità per i porti italiani
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ApprofondimentiTrasporti Ven 14 aprile 2023

Cdp scopre i porti italiani: "Sono un'opportunità con il rallentamento della globalizzazione"

Il riassetto degli equilibri commerciali in ottica mediterranea rappresenta un’occasione per la portualità italiana. Grazie al Pnrr Cdp scopre i porti italiani: "Sono un'opportunità con il rallentamento della globalizzazione" PORTO DI BARI NAVE SILOS SCARICO GRANO
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

Cassa depositi e prestiti scopre i porti italiani 

Il braccio finanziario dello Stato vede la possibilità di costruire un futuro sulle coste del Belpaese. Per il gruppo guidato da Dario Scannapieco l’occasione viene dal rallentamento della globalizzazione che diminiusce il peso del commercio internazionale sul pil mondiale. “Si sta riducendo la frammentazione delle catene globali di fornitura, con segnali di un ritorno ad una maggiore concentrazione della produzione all’interno dei confini nazionali” si legge in una nota di Cdp. 

Così “l’Italia potrebbe diventare il principale hub logistico portuale tra Nord Africa ed Europa continentale ma è importante rafforzare la competitività degli scali, puntando su: efficientamento dei servizi portuali, potenziamento delle infrastrutture per l’intermodalità, sviluppo di aree retroportuali e trasformazione green”.

Da oltre 15 la globalizzazione rallenta

Secondo gli analisti di Cdp, “gli scambi commerciali si stanno sempre più regionalizzando, mentre si sviluppa la cooperazione economica nel Mediterraneo. Tutto questo, si traduce in un’importante opportunità per la portualità italiana che potrebbe fare del nostro Paese il principale hub logistico-portuale tra Nord Africa ed Europa continentale” si legge nella nota sull’analisi dal titolo “Deglobalizzazione e Mar Mediterraneo: quale ruolo per l’Italia?”

Per gli esperti, “la produzione mondiale non continua cioè ad essere sempre più divisa fra imprese localizzate in Paesi diversi, ma, al contrario, ci sono segnali di un ritorno a una maggiore concentrazione all’interno dei confini nazionali. Come conseguenza, alcuni nodi di scambio nel lungo percorso delle catene di fornitura si sono progressivamente sciolti nel corso degli ultimi anni, determinando una riduzione del numero di operazioni transnazionali e, quindi, una contrazione del grado di interdipendenze tra Paesi” si legge nel testo.

Il fenomeno si basa su due fattori

Alla base di queste dinamiche c’è l’ambizione della Cina di affermarsi come potenza industriale sempre meno dipendente da tecnologie importate e dall’export. E poi il più recente ripensamento da parte dell’Occidente delle dipendenze estere in filiere strategiche per la sicurezza nazionale.

“In questa prospettiva, le politiche intraprese dagli Stati Uniti e dall’Unione europea mirano a favorire processi selettivi sia di re-industrializzazione (il cosiddetto reshoring), sia di ri-localizzazione delle filiere produttive, puntando su partner geopoliticamente affidabili (friendshoring)” prosegue l’analisi.

Di qui “una progressiva regionalizzazione della produzione e degli scambi, che in ambito europeo permetterebbero di rafforzare la cooperazione economica nel Mediterraneo.Oltre che per la vicinanza geografica, i Paesi extra-europei affacciati sulle sponde mediterranee possono rappresentare una valida soluzione per ridefinire la configurazione delle filiere produttive della Unione europea, facendo leva su: una buona specializzazione in ambiti industriali di particolare interesse per le imprese europee a valle; costi di produzione ancora contenuti;  una dotazione di infrastrutture logistico-portuali in deciso rafforzamento” continua l’analisi che triene in debito conto anche l’instabilità. 

La sfida per l’Italia

“Il riassetto degli equilibri commerciali in ottica mediterranea rappresenta un’opportunità per la portualità italiana, che può fare leva sulla sua leadership indiscussa nel traffico marittimo a corto raggio, ossia una modalità di trasporto pienamente in linea con le esigenze del commercio regionale” chierisce lo studio. “Si tratta, infatti, di un settore in cui l’Italia può far valere una posizione di eccellenza, essendo il primo Paese in Europa per volume di merci movimentate, con una quota di mercato pari al 14% del totale, davanti a Paesi Bassi 13,5%, Spagna 10% e Francia 7% (dati Eurostat)” aggiunge.

Per conquistare un ruolo ci sono quattro fronti, indirizzati in parte anche dal Pnrr. Innanzitutto, bisogna “migliorare l’efficienza dei servizi portuali, riducendo i tempi di stazionamento delle navi che risultano decisamente elevati rispetto ai principali concorrenti (il tempo medio di attesa nei porti italiani si attesta a 1,34 giorni contro 0,62 nei Paesi Bassi e 0,9 in Spagna)” precisa lo studio. Poi è importante “potenziare servizi e infrastrutture per l’intermodalità, cruciali per il rilancio e lo smistamento dei carichi portuali. Ad oggi, tra i principali porti italiani solo due su cinque sono collegati direttamente alla rete ferroviaria nazionale”.

terzo luogo, per gli analisti si deve “sviluppare le aree retroportuali, attraverso la piena implementazione delle Zone Economiche Speciali (ZES) e delle Zone Logistiche Speciali (ZLS), due strumenti cruciali per incoraggiare gli investimenti e l’insediamento di nuove imprese”. Infine, gli esperti ritengono che si deve “promuovere l’efficientamento degli scali in ottica green, puntando in particolare sul cold ironing (a fine 2021, in Italia c’erano solo due banchine dotate di servizi di alimentazione onshore contro le 145 dei Paesi Bassi), sullo sviluppo di infrastrutture per l’accosto di navi GNL/dualfuel o alimentate da combustibili alternativi (ammoniaca, metanolo, idrogeno) e sull’abilitazione all’uso di energie rinnovabili in porto”.

 

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