Ex Ilva, il Tar della Lombardia stacca il gas. Acciaierie d’Italia fa ricorso
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AperturaImprese Lun 15 gennaio 2024

Ex Ilva, il Tar della Lombardia stacca il gas. AdI fa ricorso al Consiglio di Stato

Il tribunale amministrativo: "AdI continua a gravare sulla fiscalità generale per salvare la propria posizione" Ex Ilva, il Tar della Lombardia stacca il gas. AdI fa ricorso al Consiglio di Stato
Redazione Verità&Affari
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Acciaierie d’Italia continua a “gravare sulla fiscalità generale” per salvare “la propria posizione imprenditoriale”. Adi sta “procrastinando l’assunzione di impegni economici” che “benché consistenti, sono necessari per reperire nel rispetto della legge e delle regole del mercato, l´adeguata fornitura di gas naturale indispensabile per lo svolgimento delle proprie attività”. Lo farebbe per precise “scelte imprenditoriali” e “soddisfare interessi puramente economici” che non possono essere sturmentalizzati pur tenendo conto della “gestione di rilevanti interessi pubblici”. Con queste motivazioni il tar della Lombardia ha accolto il ricorso di Snam e Arera sulla fornitura di gas agli impianti ex Ilva. Il gestore della rete, partecipato da Cdp, può adesso staccare il gas a Acciaierie d’Italia. La fornitura avveniva finora in regime d’emergenza, (di default) dato che AdI è risultata morosa con i fornitori precedenti.

L’Arera aveva più volte prorogato la fornitura, obbligando Snam a fornire il gas pur in presenza di un forte debito accumulato da AdI con la stessa Snam e con altri fornitori, come Eni. Al 31 dicembre, il debito accumulato nei confronti di Snam sarebbe pari a 109 milioni di euro. AdI ha fatto ricorso al Tar della Lombardia contro la delibera di Arera per la “discatura”, ovvero l’interruzione del flusso di gas verso gli impianti. Il 10 novembre, il Tar aveva rinviato la sua decisione di due mesi al 10 gennaio scorso. Oggi, lunedì 15 gennaio, è stata resa nota la decisione dei giudici amministrativi. AdI ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Stato. 

Settimana decisiva

Prosegue intanto la trattativa per l’uscita di ArcelorMittal dall’ex Ilva. I legali di Invitalia e Arcelor Mittal, rispettivamente al 38 e al 62% del capitale, sono al lavoro nel tentativo di definire una separazione consensuale che porti a una uscita morbida del colosso franco-indiano.

Palazzo Chigi ha indicato mercoledì 17 gennaio come termine ultimo delle trattative, mentre giovedì ci sarà una nuovo incontro con i sindacati dove forse si chiarirà definitivamente il percorso da seguire. L’uscita concordata di Mittal, passando molto probabilmente per un indennizzo, consentirebbe alle parti di non scivolare in un lungo contenzioso giudiziario.

Le cifre in ballo

Il risarcimento per l’addio della multinazionale indiana all’acciaio italiano potrebbe aggirarsi intorno ai 400 milioni. Una cifra che, secondo quanto riporta La Repubblica, Invitalia potrebbe versare per acquistare la quota del 40% che farà capo ad A. Mittal a valle della conversione in equity dei 680 milioni versati dallo Stato all’inizio del 2023.

La base di riferimento sarebbe la valutazione della società fatta da Enrico Laghi e verificata da Kpmg alla fine del 2020, in occasione dell’ingresso di Invitalia. Allora il valore delle azioni era di 1,050 miliardi.

Inoltre, il governo dovrà valutare l’esborso complessivo in caso di accordo per l’uscita di Mittal, perché oltre ai 400 milioni per la quota di Adi ci sarebbero altri 3-400 milioni da immettere nell’azienda per rilanciare la produzione e circa 950 milioni per ricomprare gli impianti considerando anche che 700 milioni dovrebbero tornare indietro, in quanto prestiti che il Mef aveva versato al primo commissariamento.

La nuova sfida

Consensuale o meno il divorzio dello Stato italiano con Arcelor Mittal sarà un punto di svolta ma non di arrivo nella travagliata vicenda degli stabilimenti ex Ilva. Il difficile verrà dopo, quando il governo dovrà trovare i capitali privati per garantire un futuro solido e competitivo ad Acciaierie d’Italia.

L’obiettivo non è, infatti, quello di nazionalizzazione permanente: lo Stato assumerà il controllo dell’azienda solo per traghettarla verso un nuovo assetto societario. Tra i nomi circolati nei giorni scorsi, oltre a Vulcan Green Steel e Metinvest, si fa insistente anche quello del gruppo Arvedi.

La soluzione italiana

“Non è possibile non pensare al più grande produttore di prodotti piani in Italia che è Arvedi” ha affermato in un’intervista al Corriere della Sera il presidente di Federacciai Antonio Gozzi. Già nel 2017 Arvedi con Jindal, Cdp e Delfin aveva presentato un’offerta per il polo di Taranto, partecipando anche alla cordata antagonista di ArcelorMittal “ma – afferma Gozzi – si preferirono i franco-indiani. Perché, seguendo i parametri europei, si diede più importanza all’offerta che al piano industriale”.

Un gruppo dalle spalle larghe

Arvedi ha chiuso il 2022 con 7 miliardi 756 milioni di ricavi e un risultato netto di 640 milioni di euro. La principale azienda, Acciaieria Arvedi, realizza prodotti piani di acciaio al carbonio e ha registrato 3,6 miliardi di ricavi, in aumento del 20% rispetto al 2021. Ma gli italiani del settore con la capacità di intervenire non sono pochi: dalle Acciaierie Venete al gruppo Marcegaglia.

Nel frattempo il gigante siderurgico Arcelor Mittal ha raggiunto un accordo con il governo della Francia per investire 1,8 miliardi di euro complessivi sulla riduzione delle emissioni di CO2 dell’impianto di Grande-Synthe, a Dunkerque. L’accordo riguarda uno dei maggiori siti industriali dell’Esagono e si inserisce nell’ambito delle iniziative che sfruttano anche il parco energetico nucleare francese.

La Francia festeggia

L’annuncio dell’intesa tra il governo francese e il colosso indiano dell’acciaio è arrivato dal ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire che a sua volta, nell’ambito del piano di riduzioni del carbonio prodotto dall’industria, potrà arrivare ad investire ulteriori 850 milioni accompagnando gli investimenti effettivamente realizzati dal gruppo privato. Questo denaro consentirà di costruire a Dunkerque, che è considerato uno dei 50 siti industriali francesi più inquinanti, due forni elettrici e un’unità diretta per la riduzione del ferro. L’attivazione è prevista per il 2027.

È il primo passo verso la produzione di acciaio privo di carbonio. Questi impianti alimentati da elettricità e gas, ed eventualmente idrogeno, sostituiranno i forni alimentati a carbone. Le emissioni di Co2 dovrebbero calare di 4,4 milioni di tonnellate all’anno. Arcelor, ha inoltre aggiunto il ministro, firmerà una lettera di intenti con Edf (Electricite de France) per un contratto di fornitura stabile e competitiva a lungo termine di energia nucleare.

(Teleborsa) 

 

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