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ApprofondimentiBanche Ven 10 novembre 2023

Extraprofitti, nessuno paga la tassa ma le banche si rafforzano per 5 miliardi

Finora tutti gli istituti hanno optato per destinare a riserva una somma pari a 2,5 volte la tassa. Anche Mps e Mcc, controllate dal Mef Extraprofitti, nessuno paga la tassa ma le banche si rafforzano per 5 miliardi Insegna bancaria
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Extraprofitti, nessuno paga

Circa 5 miliardi di rafforzamento patrimoniale per il sistema bancario italiano. Un successo, se l’obiettivo della norma sugli extraprofitti delle banche fosse stato quello di rendere più solidi gli istituti che operano in Italia. Fieno in cascina, come si dice, per possibili tempeste a venire sul fronte del credito con il peggioramento dello scenario economico.

Per la casse statali è stato invece tutt’altro che un successo, malgrado l’obiettivo annunciato quando è stata presentata la misura in agosto fosse anche quello di sostenere le entrate fiscali. Il gettito finora è di fatto nullo. I conti definitivi saranno possibili nei primi mesi del 2024, quanto tutte le piccole banche non quotate avranno approvato i propri bilanci. Ma il quadro generale non muterà.

Con le modifiche apportate al decreto in sede di conversione infatti è stata introdotta la facoltà per gli istituti di accantonare a riserva – e quindi incrementare il proprio patrimonio – una somma pari a 2,5 volte quello che sarebbe stato l’importo della tassa. E finora, per quanto noto, tutti hanno scelto questa opzione con l’approvazione dei conti dei nove mesi.  

Dalle grandi banche 1,8 miliardi di mancato introito

Le grandi banche hanno accantonato da sole oltre 4,6 miliardi a riserva non distribuibile, invece di pagare tasse sugli extra profitti per oltre 1,8 miliardi totali. Intesa Sanpaolo da sola ha accantonato 2,1 miliardi. Seguita da UniCredit (1,1), Banco Bpm (381 milioni), Bper Banca (315,4), Mps (312,7), Mediobanca (226), Popolare di Sondrio (107), Credem (95). Fa clamore il caso di Monte dei Paschi, salvata con fondi pubblici nel 2017 e della quale il Tesoro ha in mano il 64% del capitale.

Ma è ancora più significativo il caso di Mcc, che controlla BdM Banca (la ex Popolare di Bari) ed è a sua volta per il 100% di Invitalia e quindi ancora del Tesoro. Anche per Mcc l’opzione scelta è quella di destinare gli utili extra a riserva. Stessa decisione per Credit Agricole Italia, controllata del gruppo transalpino, che non ha reso noto dettagli ma, secondo quanto ricostruito, ha anch’essa incrementato le sue riserve dopo un utile netto di 1,1 miliardi nei 9 mesi. 

Nelle dichiarazioni di agosto, quando è stata presentata la misura, veniva previsto un incasso per lo Stato di 3-4 miliardi di euro. Una misura “redistributiva”, nelle intenzioni del governo, per compensare i massicci utili delle banche grazie all’aumento dei tassi d’interesse sui prestiti a fronte di tassi attivi per la clientela molto meno reattivi agli aumenti decisi dalla Bce. Ma già nella relazione tecnica di accompagnamento al provvedimento mancava, “in via prudenziale”, una previsione d’incasso.

I rischi per gli amministratori

I tecnici del Senato si erano spinti più in là, rilevando possibili profili d’incostituzionalità della norma così come uscita dal consiglio dei ministri. Incostituzionalità che “potrebbe essere dichiarata dopo l’avvenuto introito e la conseguente spesa delle somme in questione, il che determinerebbe un peggioramento dei saldi, corrispondente alle risorse che dovessero essere restituite alle banche per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale”.

Le modifiche introdotte in Parlamento, oltre a soddisfare le proteste del settore e i mugugni in una parte della maggioranza, hanno anche consentito di eliminare questo rischio. Ma hanno aperto alla possibilità, per quegli amministratori che avessero deciso di optare per il pagamento della tassa invece di aumentare il patrimonio, di essere chiamati a risponderne dai propri azionisti. 

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