Francia e Turchia alzano il muro contro le auto a batteria cinesi
Parigi ha diffuso la lista delle vetture che godranno di incentivi: esclusi i modelli del Dragone. Erdogan vara regole anti-Pechino. E l'Ue? L'indagine dumping va avanti Stabilimento di produzione cineseLa Francia è il primo Paese d’Europa ad alzare un vero muro contro l’invasione di auto cinesi. Il presidente ha infatti dato seguito alla decisione di condizionare gli incentivi per l’acquisto di auto elettriche all’origine della loro produzione. Quello di Parigi è un provvedimento molto simile all’ Inflaction reduction act varato negli Stati Uniti da Biden. Nel caso degli Usa il ricco bonus (fino a 7.500 dollari) per l’acquisto di una vettura a spina, scatta solo se l’auto risulta prodotta con oltre il 75% di componenti provenienti da Stati Uniti, Messico e Canada. Per quanto riguarda la Francia, il nuovo schema delle agevolazioni, inserito in un più ampio piano per accelerare il rilancio dell’industria transalpina in ottica ambientale, prevede esplicitamente il requisito della produzione in Europa. Per non lasciare dubbi sul significato dell’operazione il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato la lista dei modelli “incentivabili” e idonei per accedere ai bonus mettendo sostanzialmente alla porta tutti i brand cinesi. E non solo.
Una lista che blinda Parigi
L’elenco include le vetture prodotte per la gran parte in Europa, mentre vengono escluse dagli incentivi la Mg4 e la Tesla Model 3 ( tra le vetture a batteria più popolari del mercato transalpino). Tra i gruppi promossi predominano Volkswagen e Stellantis con, rispettivamente, 25 e 24 modelli. Altre cinque Bev incentivabili sono della Renault, tre della Bmw, tre della Mercedes, due della Volvo e della Nissan e una della Hyundai. L’unica elettrica extraeuropea presente nella lista è la Mazda MX-30. Esclusa invece la Dacia Spring , la citycar inizialmente destinata a diventare il simbolo del “leasing sociale” ovvero lo sforzo del governo a sostegno dell’acquisto di auto green.
Anche la Turchia alza la grande muraglia
Anche la Turchia ha preso provvedimenti contro le importazioni di veicoli elettrici provenienti dalla Cina. Erdogan ha imposto regolamenti così rigorosi da alzare un vero e proprio muro nei confronti di Pechino. In sostanza il ministero del Commercio turco ha emanato un decreto che richiede alle compagnie che importano vetture a spina di avere almeno 140 stazioni di assistenza disseminate su tutto il territorio nazionale e di aprire un centro di assistenza per ciascun marchio. Requisiti che colpiscono principalmente i veicoli cinesi, mentre le importazioni dall’Ue e da Paesi con accordi commerciali privilegiati rimangono esenti.
Anche i tempi stretti per onorare i requisiti indicano la volontà di colpire Pechino. Difficile infatti che le Case del Dragone riescano a conformarsi ai nuovi standard in 30 giorni. Per la Cina la decisione di Ankara è particolarmente pesante visto che la Turchia è uno dei mercati automobilistici più importanti in Europa delle auto con gli occhi a mandorla. Una mossa per certi versi azzardata, visto che la Cina risulta essere il principale importatore dei prodotti turchi. E’ anche vero però che Erdogan ha visto aumentare il deficit commerciale proprio a causa delle importazioni cinesi, in particolare nel settore delle auto. Nel tentativo di ridurre questo squilibrio, la Turchia aveva imposto già dall’inizio di quest’anno un dazio doganale aggiuntivo del 40% sulle importazioni di auto green dalla Cina, portando il totale delle imposte doganali al 50%. A ciò si aggiungono le ulteriori iniziative.
L’Unione europea e il “veto” tedesco
Mentre gli Stati si muovono in ordine sparso, cosa fa l’Unione Europea? Bruxelles da qualche mese ha avviato una indagine sui sussidi statali cinesi per le auto elettriche paventando il dumping. Ma ciò ha suscitato non solo minacce di ritorsione da parte di Pechino, ma una frattura nella stessa Ue con una alzata di scudi di alcuni Paesi (Germania in testa) particolarmente presenti con il proprio export sul grande mercato asiatico. Il timore è, appunto, che ai dazi del Vecchio Continente seguano uguali misure cinesi contro i nostri prodotti. Sta di fatto che l’indagine va avanti. Poi verrà presa una decisione