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BanchePrimo piano Mar 17 ottobre 2023

Mps, Jefferies in pole per il mandato sulla privatizzazione

La banca d'affari Usa favorita per assistere il Tesoro e individuare le modalità dell'uscita dal capitale. Tre le opzioni possibili Mps, Jefferies in pole per il mandato sulla privatizzazione
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Mps, Jefferies in pole per il mandato del Tesoro

Dovrebbe essere Jefferies il consulente del Tesoro per la privatizzazione di Mps. Alla banca d’affari selezionata spetterà di proporre al Tesoro la via migliore per ottemperare all’impegno preso con la Ue. Anche se l’invito del Mef per l’operazione Mps, rivolto alle sole banche internazionali, è stato accolto con una certa freddezza, si spiega in ambienti finanziari. Fino alla scorsa settimana, le principali banche stavano ancora valutando se partecipare alla gara o meno. Questo perché, spiega un banker, le commissioni pagate dal Tesoro non sono particolarmente allettanti.

Le commissioni

“Posizionarsi” adesso significa però acquisire crediti per l’operazione da fare entro il 2024, come da accordi con l’Unione europea. Operazione non semplice – acquirenti non se ne vedono -. Ma, questa sì, redditizia in termini di commissioni per i consulenti. Quella di Mps è d’altra parte una delle poche certezze in un mercato che non sembra promettere grandi opportunità anche per il prossimo anno. Alla fine, le risposte arrivate al ministero sono state però al di sotto delle attese. E quella di Jefferies, si spiega, sarebbe la migliore.

Tre possibilità

Le possibilità sono sostanzialmente tre. Una fusione, se dovesse palesarsi il partner che al momento non c’è. O magari, se i mercati lo permetteranno, una vendita in Borsa anche in più tranche. O ancora un mix tra le due. L’azione vale 2,53 euro, il 26% in più rispetto all’aumento di un anno fa. Con una capitalizzazione di 3,2 miliardi, il 64% in mano al Mef vale oltre due miliardi. Lontano dagli 8,5 miliardi spesi dal Tesoro dal salvataggio del 2017 in avanti. Ma comunque una buona plusvalenza rispetto agli 1,6 miliardi spesi per l’ultimo aumento. Aggiunto al fatto che l’esecutivo ha necessità di fare cassa, la possibilità di vedere un pacchetto di azioni dell’istituto senese sul mercato nel corso della prima parte dell’anno è ritenuta tutt’altro che remota, in ambienti finanziari.

Anche perché, come detto, acquirenti seri non se ne vedono. Malgrado il deciso miglioramento dei conti della banca, sotto la guida di Luigi Lovaglio e aiutata dai tassi d’interesse che sono tornati gonfiare gli utili delle banche. Unicredit e Banco Bpm, i due istituti più accreditati per dimensioni e stato di salute per una fusione con Siena, hanno detto in ogni modo di non essere interessati. D’altra parte, “queste operazioni si fanno quando sei costretto“, dice un banker. E adesso, grazie ancora ai forti utili, lo stato di salute delle banche è tale che nessuno ha questa necessità. 

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