Fisco, bonus, bollette: cosa pensa davvero il ministro dell’Economia
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ApprofondimentiCronaca Lun 24 ottobre 2022

Fisco, bonus, bollette: cosa pensa davvero il ministro dell’Economia

Giancarlo Giorgetti seguirà il metodo Draghi, ma non perché sia un seguace di SuperMario anche se tra i due la stima è reciproca Fisco, bonus, bollette: cosa pensa davvero il ministro dell’Economia Il ministro dell'economia, Giancarlo Giorgetti
Carlo Cambi
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Carlo Cambi

Cosa pensa il ministro dell’Economia Giorgetti

L’han giurato li ho visti in Pontida, l’han giurato si strinser la mano… Giovanni Berchet è stato nell’800 il cronista più fedele di quello che è successo sul pratone della Bergamasca vigilato dal monte Canto il 18 settembre scorso. S’è scritto della Lega divisa, dei Governatori pronti a impallinare Matteo Salvini con un’eminenza grigia che teneva le fila del complotto. Zoppicava e non poco Giancarlo Giorgetti quel 18 settembre e faceva fatica a mangiare il suo panino con la salamella perché era un continuo di mani da stringere, di consigli da ascoltare.

Chi non conosce la Lega, anzi chi si ostina a non volerla conoscere, la racconta come un partito qualsiasi. La Lega è altro: è popolo, non necessariamente padano. L’han giurato, io li ho visti quel giorno a Pontida, che andasse come andasse da lì a una settimana Matteo sarebbe stato il centravanti e lui il centrocampista: «Mi consideravo un po’ il Pirlo della situazione, uno che magari si vedeva poco ma era importante». Ai cronisti dal sopracciglio arcuato, abituati alle trame di palazzo, faceva comodo descrivere Giorgetti come il dottor sottile stile Giuliano Amato. Ma si può pensare che chi ha fondato il Southampton football club di Cazzago Brabbia – a cui è iscritto, che sia una nemesi?, anche Giulio Tremonti – abbia l’idea del potere per il potere? Disse il neoministro dell’Economia a Darwin Pastorin: «Tifare Southampton significa già partire che non vincerai mai. Significa soffrire perché ci si salva solo all’ultima giornata».

Endorsement illustri

Se si vuole sapere come sarà la Giorgettieconomy bisogna partire da qui. Probabilmente Giorgetti seguirà il metodo Draghi, ma non perché sia un seguace di SuperMario anche se tra i due la stima è reciproca, piuttosto con l’idea di impostare la soluzione di un problema e seguirla senza badare troppo alla forma. Avranno da penare i funzionari del Mef. Ne sanno qualcosa al Mise dove ha messo su una squadra per monitorare le crisi senza rispettare la liturgia. «Ho questi obbiettivi – ha detto ai suoi di palazzo Piacentini – favorire azioni di reindustrializzazione e riconversione, tutelare e salvaguardare i lavoratori coinvolti, agevolare l’attrazione di nuovi capitali, penalizzare chi pensa di andarsene a produrre altrove». Un programma che si porta dietro, e più in grande, per quella che probabilmente nei suoi pensieri è “l’azienda Italia”.

Giorgia Meloni lo ha promosso alla poltrona più alta e scomoda, quella di ministro dell’Economia. Lui nelle settimane scorse ripeteva: se la Lega me lo chiede ci vado. Ha ricevuto il più significativo degli affidavit da Daniele Franco suo predecessore a via XX Settembre, uno dei Draghi-boys. Che in poche a parole ha descritto come sarà la regia dei conti di questo signore di 56 anni con una laurea della Bocconi in economia aziendale e un vissuto politico da veterano delle istituzioni. «Lo conosco, da parecchi anni. Abbiamo lavorato fianco a fianco in questi venti mesi. Abbiamo in comune l’idea che lo sviluppo economico dell’Italia dipenda da quanto accade nel sistema produttivo, in primo luogo nella manifattura e nei servizi, che questi settori siano il cuore della nostra capacità di creare reddito e che quindi debbano essere al centro della politica economica. Farà sicuramente bene».

In poche parole

Giancarlo Giorgetti è un uomo del fare, anche di conto, dell’ascoltare, del parlare pochissimo (interviste rare, ma decisive) con un’idea in testa: il conflitto non serve. Proprio a Pontida ripeteva: «Per governare ci vuole equilibrio tra quello che si vorrebbe e quello che si può. E l’equilibrio è un atto di coraggio. Senza dimenticare quello che siamo e per servire il nostro popolo». La dottrina economica di Giorgetti è risolta in questo alto buon senso che nasce da una competenza profonda e dal conoscere la fatica del mettere insieme pranzo con cena. «Il mio essere taciturno arriva dall’esempio di mio padre. Lui, come il nonno, faceva il pescatore. Un lavoro un po’ solitario in cui passi tante ore a pensare e poco a parlare. La pesca è stata uccisa dal progresso e i pescatori, che sono saggi, hanno capito che per i loro figli andavano cercate altre opportunità. Io sono un commercialista, ho fatto il sindaco del mio paese e poi dal 1996 sono parlamentare. La politica è sacrificio. È come una malattia, ma alla base c’è un atto di presunzione che ti fa credere che le cose che pensi facciano bene agli altri».

Lo hanno definito l’uomo delle banche perché se ne è molto occupato e per la parentela con Massimo Ponzellini. Quando Matteo Renzi mise mano alla riforma delle Popolari e delle piccole banche su pressione dell’Europa non esitò a dire: «Dapprima con l’eliminazione della distinzione tra banca retail e banca di investimento si sono indirizzati i risparmi a breve verso investimenti speculativi. Poi con le regole di Basilea si è sostituito il funzionario bancario che aveva la conoscenza del cliente imprenditore con la fredda logica del programma di computer tarato per le grandi imprese. Infine con lo sradicamento della banca dal territorio, con la distruzione del credito popolare e cooperativo, si giunge a dar l’ultimo colpo a quella parte di sistema più vicino a artigiani e pmi». Sarà un caso ma avere presente la centralità delle banche ha fatto guadagnare a Giorgetti un significativo endorsement; Andrea Orcel, ad di Unicredit, lo ha così accolto: «Ho avuto l’opportunità di vederlo all’opera e ho potuto apprezzare la sua passione e la sua determinazione a fare le cose giuste e necessarie per l’Italia».

Tifa per l’industria, ma non sta dentro il milieu industriale, tifa per un paese più forte ma non ama i poteri forti. In una intervista a Varesenews ebbe a dire: «Volendo andare al governo, con i poteri forti bisogna avere a che fare, ma non in modo supino. Abbiamo bisogno di una politica che sappia le cose e che risponda al potere popolare e non a quello finanziario o tecnocratico. In questi anni la politica ha abdicato al suo compito e va troppo al rimorchio di decisioni prese altrove. Il vantaggio della Lega è che non prende ordini da nessuno. Neanche dai russi».

Che cosa aspettarsi

E allora cosa aspettarsi? Sul Fisco «il recupero della pace fiscale». Sulla politica dei bonus: «Col superbonus edilizio abbiamo drogato un settore dove l’offerta di imprese e manodopera è limitata. Ci sono state maglie troppo larghe. Così abbiamo contribuito a gonfiare i prezzi. E in genere i bonus vanno tutti rimodulati». Inflazione: «Bisogna intervenire sul potere di acquisto di salari e pensioni e limitare le bollette». Reddito di cittadinanza: «Va trasformato in lavoro di cittadinanza». Europa: «Rimodulare i Fit for 55, abbiamo un sistema industriale da tutelare». E ancora: «Durante la pandemia giustamente l’Europa ha sospeso le regole, permettendo ai paesi di fare scostamenti di bilancio. Questa dell’energia è una emergenza economica e sociale ed è il focolaio da cui parte l’inflazione. Se avessimo potuto sterilizzare gli aumenti per i consumatori da subito, ora non avremmo questi aumenti dei prezzi». Scostamento di bilancio: «Non si tratta di fare spesa allegra, ma di pagare danni di guerra indiretti al sistema produttivo, dopo la decisione di aprire un conflitto commerciale con la Russia».

La summa del pensiero economico di Giorgetti è il suo intervento al forum Ambrosetti di un anno fa. «Fare leva sulle energie morali del Paese andando oltre anche al Pnrr. Rimettere l’impresa al centro e sostenere chi crea ricchezza. È necessario recuperare il rapporto tra impresa, territorio e comunità. La globalizzazione aveva cercato di negare questa filiera, ma va riattivata. La sostenibilità non deve essere un ambientalismo ideologico ma deve coniugare la dimensione ambientale con quella sociale ed economica. Il welfare va incentrato sulla natalità e la difesa della vita anche per superare il gap demografico. E infine serve un’alleanza tra governo, imprese e forze morali».

Giorgetti come un libero di palla a volo (che ama al pari del calcio ) è pronto a pigliarle tutte per difendere il sistema Italia, ma al pari di Che Adams, il regista del Southampton, ha in mente un cambio di gioco. Il passaggio decisivo è non occuparsi solo di redistribuire la ricchezza, ma occuparsi di crearla. In fin dei conti la maglia del Southampton è bianco-rossa, se si aggiunge il verde della Lega è il tricolore.

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