L’ex Ilva deve 1,5 miliardi ai fornitori, ma il gas lo paghiamo noi
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ApprofondimentiCronaca Gio 17 novembre 2022

L’ex Ilva deve 1,5 miliardi ai fornitori, ma il gas lo paghiamo tutti noi

C’è un miliardo e mezzo di ragioni per lo stop deciso da Acciaierie d’Italia a 145 imprese dell’indotto dell’ex Ilva. L’ex Ilva deve 1,5 miliardi ai fornitori, ma il gas lo paghiamo tutti noi
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Il debito dell’ex Ilva verso i fornitori

C’è un miliardo e mezzo di ragioni per lo stop deciso da Acciaierie d’Italia a 145 imprese dell’indotto dell’ex Ilva. Senza contare che i consumi di gas dell’impianto che da ottobre sono spalmati sulle bollette degli italiani.

Andiamo con ordine. A 1,5 miliardi di euro circa ammonterebbe infatti lo scaduto nei confronti dei fornitori, una cifra che per di più cresce ogni mese al ritmo di circa 100 milioni dati dallo sbilancio tra il fatturato e i costi. Senza contare la bolletta energetica, lievitata da 180 del 2020 a 1,4 miliardi come ha spiegato il presidente di Acciaierie d’Italia a La Stampa.

Per questo, spiegano le fonti interpellate, il miliardo promesso da Invitalia e mai arrivato, in questa situazione, rischia di essere bruciato solo per far fronte agli impegni pregressi. Tra questi, lo scaduto nei confronti di Eni (circa 300 milioni) è la parte più rilevante.

Chi paga il gas dell’ex Ilva

Almeno su questo punto, la ex Ilva può stare tranquilla. Eni non fornisce più il gas agli impianti da ottobre scorso, dopo che Acciaierie ha rifiutato la proroga proposta dal Cane a sei zampe. Gli approvvigionamenti sono attualmente garantiti in regime d’emergenza attraverso Snam come fornitore di ultima istanza (Fui), ovvero il soggetto deputato a fornire gas ai grandi clienti ai quali la fornitura non può essere interrotta. È lo stesso meccanismo previsto per le forniture domestiche in caso, ad esempio, di fallimento del fornitore scelto sul mercato.

Solo che in questo caso i consumi di gas per mantenere gli impianti sono enormi. In caso di mancato pagamento – e al momento Ilva non è in grado di pagare -, i costi sostenuti da Snam in qualità di fornitore di ultima istanza sono quindi – in sostanza – spalmati sulle bollette, come i costi che il gestore sostiene per il mantenimento dei tubi o per gli approvvigionamenti.

Il meccanismo del fornitore di ultima istanza è previsto che possa proseguire per un massimo di tre mesi, dopo di che dovrebbe subentrare un contratto con un nuovo fornitore. In tempi normali, una manna per qualunque operatore, dato che Ilva consuma un miliardo di metri cubi di gas all’anno ed è forse il principale consumatore singolo di gas d’Italia. Un cliente che però è in default con il precedente fornitore, Eni appunto. Intanto, paghiamo noi.

I grandi creditori dell’ex Ilva

Tra i grandi creditori dell’ex Ilva ci sono anche imprese come Semat (edilizia industriale) che vanta un credito di 50 milioni circa per alcuni lavori fatti all’interno dello stabilimento. E ancora Prosimet, impresa bergamasca che fornisce i liquidi lubrificanti utilizzanti nelle colate senza le quali, semplicemente, un’acciaieria non può funzionare.

Al di là delle parole di Franco Bernabè («C’è l’urgenza di provvedere al sostegno finanziario della società per proseguire nel progetto tracciato. Ma non c’è una specifica crisi aziendale, c’è una crisi generale determinata da fattori esterni»), i problemi finanziari di Ilva si trascinano da tempo. E, come ammesso dal manager, lo spazio di manovra per ottenere nuova liquidità è ormai praticamente nullo.

Al ministero

Oggi la situazione dell’ex Ilva sarà l’oggetto dell’incontro al ministero delle Imprese tra il ministro Adolfo Urso, il governatore della Puglia Michele Emiliano e i sindacati. Lunedì scorso, alla notizia dello stop deciso da Acciaierie alle imprese dell’indotto, il ministro Urso ha invitato Acciaierie d’Italia a fornire «risposte concrete per l’indotto e per i lavoratori, a fronte di una decisione che ha suscitato giustamente sconcerto, tanto più per le modalità con cui è stata annunciata, assolutamente inaccettabili».

Nella comunicazione inviata alle imprese dell’indotto, la società ha legato la decisione a «sopraggiunte e superiori circostanze». I lavoratori delle aziende fornitrici, riuniti in un Comitato, hanno consegnato un documento nelle mani di parlamentari ionici neoeletti e dei sindacati che oggi si sono riuniti nella Cittadella delle imprese di Taranto. La lettera rappresenta un vero e proprio grido di dolore: «Se le risposte – scrivono – non arriveranno nel giro di pochi giorni, allora rischieremo di andare, pur non volendo, verso situazioni incontrollabili dove non regna più la ragione e la programmazione ma la disperazione».

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