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EconomiaPrimo piano Dom 01 gennaio 2023

Covid e inflazione, le due incognite per i banchieri centrali nel 2023

La fine della politica Covid zero in Cina rischia di scombinare i piani di contenimento dell'inflazione di Fed e Bce. Covid e inflazione, le due incognite per i banchieri centrali nel 2023
Giuseppe Giusto
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Giuseppe Giusto

Covid e inflazione, le due incognite del 2023

Le previsioni per il 2023 non sono particolarmente ottimistiche. Alcuni analisti pensano che, a tutte le problematiche fino ad oggi già raccontate e dettagliate in questi 11 mesi del 2022, vada aggiunto un elemento fino ad ora trascurato: il Covid in Cina.

Secondo stime non confermate dal ministro della Sanità cinese, i positivi sono più di 250 milioni. La Repubblica Popolare Cinese nel 2019 è risultato il Paese con più abitanti al mondo, con circa 1,4 miliardi di persone. Che impatto avrà sull’economia mondiale l’addio alla politica “Covid zero” definita da Xi Jinping? L’ottimismo ci spinge a sperare che non ci siano ceppi diversi da Omicrom, altrimenti saremmo costretti ad affrontare nuovi scenari fino ad ora inesplorati. 

I rialzi dei tassi

Nel corso del 2022 l’inflazione costringe la Fed, la Bce ed altre venti banche centrali ad alzare i tassi di circa il 3,75 punti medi a livello mondiale. Nell’ultima riunione della Fed, tenutasi a dicembre, Powel annuncia maggiori rialzi dei tassi nel 2023 affermando che “ulteriori aumenti sono appropriati per arrivare ad una posizione di politica monetaria sufficientemente restrittiva al fine di un ritorno nel tempo dell’inflazione al 2%. Faremo tutto il necessario per combatterla, anche se l’economia soffrirà”.

I banchieri centrali sono corsi ai ripari con una velocità straordinaria che ha pochi precedenti nella storia dell’economia planetaria. Secondo un sondaggio condotto dalla Bce, denominato Survey of Professional Forecast, l’inflazione nel 2023 è vista al 5,8%, mentre nel 2024 la crescita dei prezzi potrebbe essere del 2,4%. Questo comporta che nel 2023 la crescita economica si arresterà e probabilmente l’Europa entrerà in recessione. Nel 2027 l’inflazione tornerebbe al 2,2% confermando i dati della precedente previsione pubblicata alcuni mesi fa.

I membri della Bce ritengono che i tassi di interesse dovranno ancora aumentare significativamente ed a un ritmo costante per raggiungere livelli sufficientemente restrittivi. La bella notizia era che non si prevedevano situazioni peggiorative nel 2023 che potessero modificare le valutazioni effettuate dai principali analisti economici. Parliamo quindi una normalità dei mercati finanziari assolutamente gestibile. Invece è scoppiato il caso Cina, con 250 milioni di persone positive al Covid, quindi non sappiamo che impatto avrà questa nuova “bomba” sugli indicatori fondamentali delle decisioni politiche che prenderanno le banche centrali.

Tormenti americani

Negli Stati Uniti la maggior parte degli analisti prevede che la Fed continuerà ad aumentare i tassi d’interesse in modo significativo. L’indicatore fondamentale utilizzato dalla Federal Reserve, la spesa per i consumi personali (PCE), è sceso lievemente ma resta lontano dall’obiettivo del 2%.

Nanette Jacobson, global investment strategist presso Hartford Fund, stima che il PCE si avvicinerà al 3% entro la fine del 2023 in sintonia con le previsioni della Fed che si aspetta che il tasso scenderà al 3,1% l’anno prossimo. Un ritorno alla normalità che si individua nel calo delle materie prime.

Secondo un sondaggio degli economisti condotto dall’università del Michigan la Fed sarà costretta a rialzo dei tassi inevitabilmente dolorosi. Il 40% degli economisti intervistati ritengono che la recessione Usa si osserverà entro la prima metà del 2023. Una rilevante minoranza del 21% continua a credere che la recessione non si mostrerà poi ma dal terzo trimestre del 2024. Cina permettendo.

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