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AperturaEuropa Ven 09 febbraio 2024

Direttiva sul dovere di diligenza, anche l'Italia si astiene e salta il voto

Anche Germania, Austria e Finlandia avevano già preannunciato l'astensione, che ai fini della votazione sarebbe stata conteggiata come un voto negativo. Direttiva sul dovere di diligenza, anche l'Italia si astiene e salta il voto
Mikol Belluzzi
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Mikol Belluzzi

A causa delle divisioni tra i governi Ue, gli ambasciatori degli stati presso l’Unione hanno rinviato il voto sulla direttiva sul dovere di ‘diligenza’ delle imprese ai fini della sostenibilità, che mira ad accrescere la protezione dell’ambiente e dei diritti umani nella Ue e a livello mondiale. Sul testo era stato trovato un accordo politico preliminare dalla presidenza Ue e dal Parlamento che oggi avrebbe dovuto essere deciso al Consiglio. Germania, Austria e Finlandia avevano già preannunciato l’astensione, che ai fini della votazione sarebbe stata conteggiata come un voto negativo. A questi tre paesi si sarebbe aggiunta l’Italia, sempre con l’astensione.

Se gli ambasciatori avessero votato, sarebbe emersa platealmente la minoranza di blocco impedendo, appunto, che si raggiungesse la maggioranza necessaria. La posizione dei quattro Paesi riflette quella assunta dalla maggior parte del mondo industriale che ritiene l’impatto di quelle regole sull’attivitá delle aziende troppo onerosa.

L’obbligo di due diligence delle imprese

Ma di che cosa si tratta? In pratica, la cosiddetta direttiva Csddd, nota anche come Supply Chain Act, prevede dovere di diligenza (due diligence) delle imprese ai fini della sostenibilità sociale, ha l’obiettivo di promuovere la sostenibilità ambientale e sociale in tutte le catene di fornitura nell’ottica di sviluppare un’economia più responsabile. Tradotto: le imprese dovranno scongiurare che le loro operazioni abbiano effetti negativi sui diritti umani, come il lavoro minorile e lo sfruttamento dei lavoratori, e sull’ambiente, come ad esempio inquinamento e perdita di biodiversità.

La direttiva che dovrebbe entrare in vigore quest’anno, riguarda tutte le aziende Ue con almeno 500 dipendenti e con un fatturato netto di 150 milioni di euro. Per queste aziende la direttiva rappresenta un adempimento obbligatorio a partire dal 2026. Per le imprese con più di 250 dipendenti e con un fatturato netto superiore a 40 milioni di euro, l’orizzonte temporale per adeguarsi alla CSDDD è previsto per il 2028.

Sulla carta, ovviamente, intenzione lodevole se non fosse che il ” monitoraggio” ovviamente si tradurrebbe in un considerevole aumento dei costi per le imprese, specie nell’attuale congiuntura, caratterizzata da incognite e criticità.

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