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FamigliePrimo piano Ven 02 febbraio 2024

Debito pubblico: 13,5% di titoli di Stato in mano alle famiglie

Gli italiani tornano a investire nei titoli di Stato italiani. Merito di prodotti realizzati solo per il retail e dei ritrovati rendimenti. Debito pubblico: 13,5% di titoli di Stato in mano alle famiglie
Redazione Verità&Affari
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(Teleborsa) – Corsa delle famiglie a bot e btp. Più che raddoppiata nel corso degli ultimi due anni la quota di titoli di Stato in mano ai piccoli risparmiatori nel corso del 2023 ha subito una vistosa accelerazione: a dicembre 2021, con il debito che aveva toccato i 2.572 miliardi, il mercato retail aveva il 6,4% delle obbligazioni emesse dal Tesoro in circolazione, vale a dire 685 miliardi su 2.234 miliardi complessivi di titoli. A fine 2022, con il debito che aveva toccato i 2.757 miliardi, un primo scatto: la percentuale di titoli statali in mano alle famiglie era salita all’8,7% (199 miliardi su 2.280 miliardi di titoli). Ma è nei primi 10 mesi dello scorso anno che, tra Btp Italia e Btp Valore, la corsa le famiglie a comprare debito pubblico si è fatta più insistente: a ottobre (ultimo dato disponibile, quando il debito era arrivato a 2.867 miliardi), le famiglie avevano il 13,5% di Bot e Btp, cioè 322 miliardi sui 2.389 miliardi totali di emissioni statali. È quanto emerge da una ricerca della Federazione autonoma bancari italiani.

Inflazione e rednimento hanno spinto gli italiani ad agire

A favorire il successo del debito pubblico hanno contribuito da un lato l’inflazione e dall’altro la scarsa remunerazione dei depositi e dei conti correnti da parte delle banche. Un mix negativo che ha spinto i correntisti a spostare la liquidità e i risparmi su forme più profittevoli di investimento, comunque capaci di assicurare sicurezza e affidabilità. Le emissioni del Tesoro del 2023 si sono inserite in questo scenario e i titoli pubblici hanno riscontrato, perciò, il favore del mercato a cui erano destinati.

Su Bot e Btp, in generale, è probabilmente stata dirottata anche una quota della liquidità che le famiglie tenevano, per prassi, sui conti correnti (sui quali il tasso d’interesse pagato dagli istituti è in media inferiore all’1%). Nei primi 10 mesi dello scorso anno, dai conti correnti si è registrato un deflusso di 152 miliardi, da 1.452 miliardi a 1.300 miliardi. Tale diminuzione è da ascrivere a due fattori: il primo è l’utilizzo delle riserve, soprattutto da parte delle famiglie, ma anche da parte delle imprese, per far fronte da un lato all’aumento dei prezzi e dall’altro all’incremento dei tassi d’interesse sui prestiti, diventati troppo onerosi; il secondo fattore è lo spostamento di una parte della liquidità, su strumenti bancari che assicurano una remunerazione maggiore alla clientela oltre che sui titoli di Stato.

Una tendenza destinata a durare

Si tratta di una tendenza che verosimilmente proseguirà per tutto il 2024: è assai probabile, infatti, che conti correnti e depositi continuino a ricevere una remunerazione a un tasso inferiore al costo del denaro stabilito dalla Banca centrale europea, ragion per cui i titoli di Stato continueranno a svolgere una funzione di salvaguardia del potere d’acquisto: una risposta efficace alla morsa dell’inflazione.

Questa la proposta del “L’aumento degli investimenti in titoli di stato da parte dei piccoli risparmiatori – ha spiegato il segretario generale della Fabi Lando Sileoni ai microfoni di Sportello Italia su Radio Rai Uno – è legato al fatto che i tassi sui conti correnti sotto l’1% e sui depositi tra il 2,5 e il 3% in media in Italia, sono tra i più bassi in Europa e spingono le famiglie a scelte diverse”. Un fenomeno che, a suo dire, si verifica soprattutto nei periodi in cui “l’inflazione altissima erode i risparmi e il potere d’acquisto del denaro lasciato in banca”, così il risparmio si dirootta sui Btp, che “rendono attorno al 4%, secondo le varie scadenze e offerte”. Per riequilibrare la situazione Sileoni propone di introdurre anche in Italia i depositi vincolati all’inflazione, come avviene in Francia e Spagna, destinando parte della liquidità raccolta alle imprese. “Dobbiamo cominciare a ragionare anche in Italia – afferma Sileoni – su forme d’investimento diverse, come in Francia e Spagna, dove le banche offrono tassi sui depositi vincolati all’inflazione e una parte di questa liquidità viene investita in attività produttive, cioè i prestiti alle imprese destinati a fare investimenti”.

 

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