Quanto ci costa la mancanza lavoratori? Lo dice uno studio
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Lavoro/Approfondimenti
ApprofondimentiLavoro Ven 03 novembre 2023

Quanto ci costa la mancanza lavoratori? Lo dice uno studio

un costo economico che, negli anni, tende a crescere. Nel 2021 pesava per l'1,2% del Pil per arrivare oggi all'1,5%. Quanto ci costa la mancanza lavoratori? Lo dice uno studio
Redazione Verità&Affari
di 
Redazione Verità&Affari

Decisamente salato il costo della mancanza di lavoratori: 28 miliardi, l1,5% del PIL. È quanto rileva il focus di Censis-Confccoperative “Lavoro, il mercato contorto: l’Italia alle prese con mismatch, demografia e grandi dimissioni”, che stima gli effetti economici della mancanza di occupati basata sulle posizioni lavorative e sul tasso dei posti vacanti nell’industria e nei servizi.

Invecchiamento degli occupati, squilibrio nella redistribuzione del lavoro tra le aree più dinamiche e quelle condizionate da contesti economici non favorevoli, cambiamenti nelle aspettative che riguardano il lavoro e che rivendicano un maggiore riconoscimento delle competenze, sono tutti fattori che contribuiscono a non far incrociare domanda e offerta di lavoro. Tutto questo, sottolinea Confcooperative, determina un costo economico che, negli anni, tende a crescere. Nel 2021 pesava per l’1,2% del Pil per arrivare oggi all’1,5%.

“Il lavoro continua a esserci, ma anche i lavoratori continuano a mancare e ciò non consente alle imprese di spingere sull’acceleratore così come potrebbero – dice il presidente di Concooperative, Maurizio Gardini – il Pil del 2023 avrebbe potuto raggiungere i 1.810 miliardi di euro se tutte le imprese fossero riuscite a trovare tutte le figure professionali di cui hanno bisogno. Un conto salato per il Paese che equivale a 28 miliardi, l’1,5% del Pil”.

Tra le persone in cerca di occupazione il ridimensionamento riguarda le forze di lavoro (occupati e disoccupati) e, soprattutto, la popolazione con età uguale o superiore ai 15 anni. La criticità che accompagna questo quadro, sottolinea il report Censis-Confcooperative, è data da un fenomeno che negli ultimi anni si è mostrato sempre più rilevante: gli occupati totali (con almeno 15 anni) sono aumentati nell’ultimo decennio di quasi 800mila unità, con un incremento rispetto al 2012 del 3,6%.

Scomponendo il dato complessivo e prendendo in esame la classe degli over 50 il fenomeno appare molto più marcato: tra il 2012 e il 2022 gli occupati anziani sono aumentati di quasi tre milioni, passando dai 6,3 milioni del 2012 ai 9 milioni del 2022. L’incremento è stato del 42,4%, tanto che oggi la classe d’età 50 e più rappresenta una quota pari al 39% sul totale dell’occupazione (era il 28,4% nel 2012). Sempre nel 2022 risultavano ancora occupati 687mila individui con un’età uguale o superiore ai 65 anni.

Tra il 2012 e il 2022 la componente più anziana è, di fatto, cresciuta del 72,2%. Di riflesso, l’aspetto controverso di questo fenomeno riguarda, ovviamente, gli occupati più giovani. Tra il 2012 e il 2022 i 15-34enni occupati si riducono, in termini assoluti, di 361mila unità. In termini relativi la variazione negativa è di 6,5%. La quota dei giovani fra gli occupati passa dal 25,1% del 2012 al 22,6%.

Lo studio rileva anche che nel 2022 il numero di lavoratori dipendenti che si sono dimessi è stato di 1.047.000. Di questi circa 700.000 (sette su dieci) si sono ricollocati nel giro di tre mesi (il 66,9% sul totale delle dimissioni volontarie. Un trend decisamente in rialzo rispetto all’era pre-Covid, quando nel 2019 le dimissioni volontarie interessavano poco più di 810.000 lavoratori, ma entro tre mesi se ne ricollocava il 63,2% (quasi -4% rispetto al 2022). (Teleborsa) 

Condividi articolo