Più offerte di lavoro che lavoratori, in Italia ne mancano 1,3 milioni
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ApprofondimentiLavoro Gio 23 giugno 2022

Più offerte di lavoro che lavoratori, in Italia ci mancano 1,3 milioni addetti

Entro il 2026, a fronte di una domanda di 4,3 milioni di lavoratori, in Italia si rischia di non trovarne 1 milione e 350mila. Più offerte di lavoro che lavoratori, in Italia ci mancano 1,3 milioni addetti
Giulia Cazzaniga
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Giulia Cazzaniga

I lavoratori che mancano

Procedono ancora spaiate, dovrebbero camminare insieme per sostenere il mercato del lavoro. Ormai il disallineamento tra offerta formativa e domanda di competenze è definito “strutturale” da chi se ne intende: secondo una ricerca dei Consulenti del lavoro, sulla formazione manca la via di mezzo. O è troppa, o troppo poca. E nei prossimi cinque anni la questione – ieri da Bologna è stato lanciato l’allarme – «rischia di diventare emergenziale». Entro il 2026, a fronte di una domanda di 4,3 milioni di lavoratori, in Italia si rischia di non trovarne 1 milione e 350mila.

Le domanda delle aziende

C’è l’accelerazione del turnover, e pure la sempre maggior specializzazione dei comparti economici. Così, le aziende cercheranno livelli di qualificazione precisi, e dai dati elaborati da Fondazione studi dei Consulenti del lavoro su dati Unioncamere, già da quest’anno il mercato italiano potrebbe aver bisogno in media di 238mila laureati e 335mila diplomati secondari. Sono i due terzi del fabbisogno complessivo. A cui si aggiungerebbero 130mila diplomati delle scuole di formazione professionale. All’appello mancano 47mila laureati ogni anno: quasi il 20% del fabbisogno. Peggio vanno in termini percentuali le scuole di formazione professionale: non c’è il 40% dei diplomati richiesti.

Per chi da ieri è impegnato con la maturità, lo studio “Il lavoro che c’è, i lavoratori che non ci sono” è un suggerimento più che chiaro per la scelta del proseguimento degli studi terziari. Laurearsi in Scienze biologiche e Biotecnologie, piuttosto che in Psicologia o in Chimica farmaceutica rischia di non essere una decisione azzeccata: sono percorsi «destinati a creare un eccesso di offerta». Per i corsi di laurea con indirizzo giuridico e politico-sociale mancherebbero invece ogni anno circa 12mila neo laureati; seguiti dall’area economico-statistica – 11mila – e da ingegneria: quasi 9mila. Per l’indirizzo medico sanitario il mercato abbisognerebbe di altre 8mila persone. In termini percentuali poi, a trovare quasi certamente lavoro dopo la laurea, vista la carenza attuale, gli architetti urbanistici e territoriali e gli ingegneri civili. Oltre che chi studia scienze fisiche e informatiche.

I settori scoperti

Per quanto riguarda gli studi secondari, mancano 37mila diplomati in amministrazione e marketing e nel comparto socio-sanitario: si cercano 20mila profili. Ci sono inoltre il settore costruzioni, trasporti e logistica: per i prossimi anni cercheranno tra le 9mila e le 11mila unità. Anche le Regioni dovrebbero rivedere i loro sistemi di formazione professionale: mancano ogni anno 19mila neodiplomati in indirizzo meccanico, e anche in quello edile, amministrativo-segretariale e dei servizi di vendita. A fronte di una richiesta di 22mila profili in edilizia, le scuole professionali ne diplomano poco più di 5mila ogni anno. Ristorazione, tessile e benessere corrono invece il rischio di un eccesso di offerta.

All’emergenza nazionale i Consulenti rispondono con un Festival del lavoro, da domani a Bologna, incentrato così sull’orientamento. «Un Paese senza visione non può gestire il presente e la visione non può che farla la classe politica e sociale che si forma nel corso degli anni dell’università», ha detto Rosario De Luca, presidente della Fondazione. Che ha evidenziato come ci siano tante variabili in gioco su cui intervenire per superare il divario tra domanda e offerta. C’è un quadro demografico particolarmente sfavorevole – 636mila residenti in meno in Italia tra 2018 e 2021, di cui 262mila giovani – ma pure la crescita degli inattivi: +194mila. Anche gli immigrati inattivi aumentano: +14,4%. Tra le cause del cosiddetto mismatch rientra inoltre l’accresciuta mobilità delle persone: è trasversale tra generazioni e settori d’occupazione e in parte collegata agli effetti della pandemia sulla vita delle persone.

Secondo i risultati dell’indagine condotta su un campione di 1.085 lavoratori a inizio giugno, è di un generale desiderio di nuovo lavoro. Il 5,5% lo ha cambiato negli ultimi due anni, mentre il 14,4% si sta attivando per farlo. A questo si aggiunge un 35,1% che desidera una nuova occupazione. In questo scenario dove a fare da motore sono soprattutto la ricerca di un miglioramento retributivo (per il 52,5%), ma sempre più, soprattutto tra le generazioni meno adulte, il raggiungimento di un maggiore equilibrio e benessere personale (49%).

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