Camera ai repubblicani, Senato ai democratici: gli Usa si dividono
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In evidenzaMondo Mer 09 novembre 2022

La Camera ai repubblicani, il Senato ai democratici: gli Usa si dividono

La vittoria a valanga del Partito repubblicano immaginata da molti sondaggisti e analisti nelle elezioni di medio termine non c’è stata. La Camera ai repubblicani, il Senato ai democratici: gli Usa si dividono
Redazione Verità&Affari
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Le elezioni Usa di medio termine

La vittoria a valanga del Partito repubblicano immaginata da molti sondaggisti e analisti non c’è stata. Le elezioni di medio termine potrebbero consegnare agli Stati Uniti un Congresso diviso, con la Camera dei rappresentanti controllata dai repubblicani (al momento in vantaggio di 197 seggi contro 172) e con un Senato nel quale il Partito democratico potrebbe addirittura consolidare leggermente la sua esile maggioranza.

Al momento, infatti, la vittoria in Pennsylvania di John Fetterman contro Mehmet Oz, celebrità televisiva appoggiata dall’ex presidente Donald Trump, garantisce un seggio in più ai democratici nella camera alta del Congresso, attualmente perfettamente divisa tra i due schieramenti con l’eventuale voto della vice presidente Kamala Harris a rompere lo stallo. Per sapere se i senatori democratici diventeranno 51, tuttavia, occorrerà attendere l’esito delle elezioni in quattro Stati: Nevada, Arizona, Wisconsin e Georgia.

In Nevada, con il 75 per cento delle schede scrutinate, il repubblicano Adam Laxalt ha un margine di vantaggio del 2,2 per cento sulla senatrice democratica uscente, Catherine Cortez Masto (48,5 per cento). In Arizona, con lo spoglio al 68 per cento, il senatore democratico Mark Kelly sembra destinato alla vittoria sul repubblicano Blake Masters. Anche in Georgia è favorito il candidato democratico, Raphael Warnock, quando le schede scrutinate sono il 95 per cento del totale. La corsa più in bilico è forse quella nel Wisconsin, dove pure il conteggio è tuttavia quasi finito. Ron Johnson, senatore repubblicano, ha meno di 30 mila voti di vantaggio sul democratico Mandela Barnes.

Con le elezioni di ieri il Partito democratico ha però guadagnato anche due governatori in più grazie alle vittorie in Massachusetts e nel Maryland. I sondaggi della vigilia, in media, prevedevano un trionfo dei repubblicani anche ai vertici dei 36 Stati al voto per il rinnovo dei governatori, con la possibilità di conquistare tre Stati precedentemente sotto il controllo democratico. L’esito delle elezioni, tuttavia, ha mostrato una realtà ben diversa.

I candidati democratici sono riusciti a mantenere il controllo di Stati chiave come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, dove pure le legislature sono dominate dal Partito repubblicano. Gretchen Whitmer e Tony Evers hanno conquistato un nuovo mandato, rispettivamente, in Michigan e Wisconsin, mentre Josh Shapiro ha ottenuto il posto del governatore democratico uscente Tom Wolf sconfiggendo Doug Mastriano, fedelissimo dell’ex presidente Donald Trump.

Ancor più significative, tuttavia, sono le vittorie elettorali in Massachusetts e Maryland. Nel primo caso a imporsi è stata Maura Healey, che diventerà la prima donna governatrice dello Stato e la prima persona dichiaratamente lesbica a guidare uno Stato Usa. Wes Moore, invece, è il primo candidato afroamericano a ottenere l’incarico di governatore nel Maryland. Entrambi prenderanno il posto di governatori repubblicani, rispettivamente Charlie Barker e Larry Logan. Nelle prossime ore il Partito democratico potrebbe strappare ai repubblicani anche il controllo dell’Arizona, dove il conteggio dei voti è ancora al 63 per cento e la candidata dem Katie Hobbs è in vantaggio con il 50,9 per cento delle preferenze.

Questa possibile vittoria potrebbe tuttavia essere controbilanciata dall’affermazione in Nevada del repubblicano Joe Lombardo, appoggiato da Trump, sul governatore democratico uscente, Steve Sisolak. Da definire, poi, restano le corse a governatore del Kansas (la democratica Laura Kelly, uscente, è in vantaggio sul repubblicano Derek Schmidt) e dell’Oregon (Tina Kotek spera di mantenere l’ultratrentennale controllo democratico sullo Stato contro la repubblicana Christine Drazan). In assenza di colpi di scena, gli Stati controllati dal Partito democratico dovrebbero passare da 22 a 24, quelli governati dal Partito repubblicano, invece, da 28 a 26.

Sarà tuttavia motivo di consolazione, per i repubblicani, la riconferma con numeri record del governatore della Florida Ron DeSantis, che ha vinto con un distacco di quasi 20 punti percentuali contro il rappresentante democratico Charlie Crist, conquistando oltre 4,6 milioni di voti e vincendo anche nella contea più popolosa, quella di Miami-Dade, un tempo considerata roccaforte dem. Un successo destinato ad avere importanti conseguenze politiche. Innanzitutto, perché suggella la trasformazione in “Stato rosso” della Florida, che fino a pochi anni fa era considerata lo “swing State” per eccellenza, teatro di aperta contesa tra repubblicani e democratici: nel 2000 è lì che venne decisa, con un margine di soli 500 voti, la corsa alla Casa Bianca tra l’allora governatore del Texas George W. Bush e l’allora vicepresidente Al Gore.

A pesare, in questo senso, sono soprattutto le tendenze di voto della comunità ispanica, radicata proprio nella contea di Miami-Dade e sempre più incline a scegliere il Partito repubblicano. La vittoria, in queste proporzioni, proietta inoltre DeSantis direttamente verso la corsa alla Casa Bianca, in rotta di collisione con l’ex presidente Donald Trump. Quest’ultimo, forte anche della vittoria di molti dei candidati al Congresso da lui appoggiati, dovrebbe annunciare a giorni la propria candidatura per le elezioni del 2024. DeSantis, di 32 anni più giovane, non ha mai manifestato pubblicamente l’intenzione di concorrere per la presidenza, ma potrebbe rappresentare un avversario molto insidioso alle prossime primarie repubblicane.

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