Via libera alla legge di bilancio da 32 miliardi, le misure confermate
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CronacaPrimo piano Lun 21 novembre 2022

Via libera alla manovra da 32 miliardi, le misure confermate

Su una cosa sola tutti sembrano sicuri nel governo: lunedì entro sera in consiglio dei ministri approderà la legge di bilancio 2023. Via libera alla manovra da 32 miliardi, le misure confermate
Franco Bechis
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Franco Bechis

La legge di bilancio del governo Meloni

Su una cosa sola tutti sembrano sicuri nel governo: lunedì entro sera in consiglio dei ministri approderà la legge di bilancio 2023. Che cosa ci sia dentro a dire il vero non lo sapeva con certezza sabato sera nemmeno il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Perché tutto il week end vede impegnati i ministri economici in tavoli tecnici per cercare di tirare fuori soluzioni realistiche che possano tradursi in numeri veri di risparmio di spesa, di maggiore entrata o di maggiore spesa.

L’importo complessivo della manovra come circolato già nei giorni scorsi si aggira intorno ai 32 miliardi di euro, due terzi dei quali coprirebbero le misure già previste nel decreto aiuti quater contro il caro bollette e i costi della energia. Ma alcuni interventi ipotizzati – come quello di un azzeramento dell’Iva su prodotti di prima necessità e dell’abbassamento di altre aliquote – hanno bisogno del via libera preventivo della commissione europea, e al momento in cui scriviamo non è stata ancora fatta la richiesta.

Confronto con l’ue

Tutta la legge di bilancio dovrebbe avere un confronto con Bruxelles per evitare che una volta varata poi giunga una bocciatura ufficiale che metterebbe in difficoltà il governo di Giorgia Meloni. Ed è proprio questa la corsa contro il tempo che si sta tentando, nell’ipotesi di fare arrivare già questa sera alla commissione almeno uno schema di manovra con tutti i punti essenziali. Se non ci si riuscisse, allora anche il Consiglio dei ministri dovrebbe slittare ed essere preceduto da un rapido viaggio di Giorgetti a Bruxelles nella giornata di lunedì con i testi in entrata in mano.

A fare discutere molto all’interno del governo è la stretta in linea di principio da tutti condivisa sul reddito di cittadinanza. La prima a fare pressing è stata Meloni, con quel suo «Stop, stop, stop!» che ieri echeggiava sullo sfondo di molte riunioni tecniche. La stretta ci sarà, ma è evidente a tutti che non potrà partire da un giorno all’altro producendo risparmi di spesa certi che sarebbero ottenuti solo con il taglio lineare degli importi. Il MEF vorrebbe da quel capitolo un miliardo di euro, senza il quale sarebbero assai complicati gli interventi di correzione della legge Fornero, e quasi impossibile anche quella quota 103 che per Matteo Salvini è il minimo indispensabile da portare a casa.

Ma dai numeri che sono arrivati sul tavolo delle riunioni ieri è sembrata una strada davvero in salita e in questo modo non condivisa nemmeno dal ministro che dovrebbe metterci la firma, la titolare del Lavoro Marina Calderone. Dalle simulazioni effettuate sarebbero 660 mila i percettori attuali del reddito di cittadinanza che non ricadono nelle condizioni estreme di inabilità al lavoro (per cui resterebbe il reddito di cittadinanza). Quella cifra potrebbe ridursi ulteriormente seguendo i paletti messi proprio dal presidente del Consiglio, che non vuole inserire nella stretta ad esempio i nuclei familiari in cui ci sia un componente disabile anche diverso dal percettore del reddito.

L’intervento quindi avrebbe per oggetto una spesa annua che oggi si aggira intorno ai 3,5 miliardi di euro. Il miliardo chiesto da Giorgetti sarebbe dunque un po’ meno di un terzo della cifra. Ma non è facilissimo da raggiungere. Perché la stretta avrebbe bisogno da una parte di un periodo transitorio come in tutti gli interventi di questo tipo, quindi non potrebbe agire sui 12 mesi: se risparmi ci fossero, verrebbero concentrati nella seconda parte del 2023.

Sospensione del rdc?

Poi anche l’ipotesi più radicale, di sospensione del reddito di cittadinanza al primo rifiuto di una posizione lavorativa avrebbe bisogno di un arco di tempo minimo: quello in cui l’offerta arrivi davvero al percettore del sussidio. L’esperienza di questi anni ha dimostrato che non ci sia una pioggia di offerte arrivate, anche perché le caratteristiche di chi riceve il reddito restringono abbastanza le possibilità. Per fare uscire dal sussidio sarebbe quindi necessario un investimento sulla formazione dei percettori, in modo da allargare lo spettro dei lavori possibili. Quindi almeno in parte quel che si risparmia dovrebbe essere investito nello stesso settore.

Resta sempre lo spettro di quel miliardo di risparmi da ottenere. Ai tavoli tecnici si è valutata l’ipotesi di una applicazione anche retroattiva della legge, a chi ha già rifiutato un posto di lavoro. Ma è stata sconsigliata dagli esperti legali del governo, perché produrrebbe molte cause difficili da vincere. In questa situazione il Lavoro preferirebbe inserire la riforma anche più ampia in un disegno di legge collegato alla manovra, con l’idea di cambiare anche il nome del sussidio: non deve essere più chiamato reddito quell’assegno temporaneo di sussistenza.

Confermato fra le misure più importanti il taglio del cuneo fiscale, che sarebbe di poco inferiore ai 4 miliardi di euro e quindi non distante da quello ricevuto dai lavoratori nel secondo semestre 2022 e in scadenza il prossimo 31 dicembre. Quello sconto fiscale però si è aggiunto nell’anno che sta terminando ai vari bonus una tantum contro il caro bollette e il raffronto potrebbe causare qualche confusione e polemica (già scoppiata a livello politico). Dovrebbe trovare posto anche un provvedimento simbolico, come la web green tax pensata per dare soddisfazione a Confcommercio e Confesercenti e per rastrellare qualcosa da Amazon e compagnia. Spiccioli però.

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