Sileoni (Fabi): "Con la scusa della transizione green l'Ue cancella le banche italiane"
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AperturaBanche Sab 02 marzo 2024

Sileoni (Fabi): "Con la scusa della transizione green l'Ue cancella le banche italiane"

Il sindacalista della Fabi: "Per Bruxelles i grandi cambiamenti vanno affrontati favorendo le fusioni tra istituti continentali. Per questo vuol eliminare i limiti e i Golden power locali. Rischiamo di perdere i nostri risparmi" Sileoni (Fabi): "Con la scusa della transizione green l'Ue cancella le banche italiane" Lando Maria Sileoni
Gianluca Baldini
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Gianluca Baldini

La Commissione Europea potrebbe proporre modifiche regolamentari mirate a rimuovere gli attuali ostacoli di vigilanza per la creazione di soggetti bancari europei che possano competere con i colossi americani.
Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, spiega alla Verità perché questa mossa può mettere a repentaglio le banche italiane.

Sileoni, cosa sta accadendo in Europa, per quanto riguarda le banche?
«Una follia. L’ennesima, se me lo consente. Il Parlamento europeo sta studiando, a fari spenti, la possibilità di azzerare gli attuali limiti alle fusioni sovranazionali. L’idea di fondo, che non condivido, è mettere le banche europee in condizione di respingere eventuali aggressioni da parte dei grandi colossi americani».

E quali rischi ci sono per l’Italia?
«Il rischio è cancellare le banche italiane che, sulla carta, potrebbero essere oggetto di operazioni ostili da parte dei due o tre principali gruppi europei. Mi riferisco a qualche gruppo francese e spagnolo.
Basti pensare che noi abbiamo il Golden power, che interviene in caso di cessione delle aziende strategiche italiane.
La prima iniziativa che potrebbero intraprendere a livello europeo è quella di creare le condizioni per superare la norma nazionale sul Golden power. Poi, se la Bce fosse d’accordo, potrebbero creare dei parametri più stringenti per esercitare l’attività di gruppo bancario. Mi riferisco a valori come, ad esempio, i requisiti di capitale che riguardano i fondamentali di una banca».

Ma la raccolta bancaria nazionale derivante dal risparmio gestito dove finirebbe?
«Nel caso in cui grandi gruppi internazionali dovessero rilevare banche italiane, la raccolta nazionale finirebbe tutta in capo a loro, all’estero».

Perché l’Unione europea si sta muovendo in questa direzione?
«La ragione non è condivisibile. L’Unione europea sta preparando il terreno e ha affidato uno studio ad alcuni esperti, compresi italiani che in passato sono stati al vertice della Banca centrale europea. Partono dal presupposto che nei prossimi mesi e anni ci saranno trasformazioni sui campi ambientali, digitale, strategico e militare, sostenendo che tutto questo comporterà la necessità di avere grandi gruppi bancari europei e non nazionali».

Non è d’accordo?
«Nemmeno un po’. È una scusa bella e buona per indebolire alcuni paesi, Italia compresa. Stanno creando il problema che non c’è. È un allarme ingiustificato. La mia sensazione è che corriamo il rischio di bissare la pessima esperienza della direttiva sul bail in. Nel 2014 le norme sui salvataggi bancari, che hanno introdotto il maldestro principio per il quale si possono azzerare anche i conti correnti con saldo superiore a 100.000 euro in caso di dissesti, sono state approvate da tutti i Paesi con il voto quasi unanime dei partiti, italiani compresi: votò contro Fratelli d’Italia, mentre la Lega si è divisa fra contrari e astenuti. Poi grande silenzio per oltre un anno da parte di alcuni partiti e dei danni ce ne siamo accorti fuori tempo massimo, quando nell’autunno del 2015 si è trattato di intervenire per le quattro banche Etruria, Marche, Chieti e Ferrara».

Esistono possibilità di intervenire, adesso, per evitare che si arrivi fino in fondo con questa nuova iniziativa bancaria dell’Unione europea?
«I tempi ci sono, ma è tutta una questione politica. Il governo italiano deve prima comprendere cosa sta accadendo a Strasburgo e a Bruxelles, poi deve farsi sentire. In ballo c’è un interesse nazionale da tutelare. Le nostre banche sono fondamentali per sostenere la nostra economia, le nostre imprese, le famiglie, i consumi e chi ci lavora. Possiamo permetterci di avere solo o quasi banche straniere? E poi c’è un’altra questione». Quale? «I risparmi delle famiglie. La ricchezza finanziaria degli italiani vale 5.200 miliardi di euro, quasi il doppio del debito pubblico e tre volte il Pil del Paese. Tutti quei soldi fanno gola ai grandi gestori finanziari e, se non fermano questa iniziativa, corriamo il rischio che siano gestiti più nell’interesse di altre economie e meno della nostra. Francamente, vorrebbe dire essere colonizzati finanziariamente». Lasciamo per un attimo l’Europa e torniamo dentro i nostri confini. Si muoverà qualcosa sul cosiddetto scacchiere del risiko bancario? «Siamo nella fase delle esplorazioni e dei contatti fra tutti gli ad dei principali gruppi. Che studiano più di una opzione. Ma nulla si muoverà prima delle elezioni europee. Subito dopo partiranno le prime mosse. Noi, per quanto riguarda gli aspetti sindacali, siamo pronti a gestire tutto, lo abbiamo fatto sempre. Ci muovono sempre grande senso di responsabilità, visione e lungimiranza. Ci sarà anche Mps in queste operazioni? «Io continuo a sperare che Mps resti autonoma. L’amministratore delegato Luigi Lovaglio sta portando avanti un ottimo lavoro e sono convinto che abbia creato i presupposti per far camminare la banca coi suoi piedi. Il governo ha coordinato tutto in maniera impeccabile e ora potrebbe negoziare con l’Unione europea una proroga. Altrimenti entro la fine dell’anno il Tesoro, che ora ha il 39% della banca, dovrà uscire dal capitale»

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