Le Borse sperano nella discesa dell’inflazione Usa
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Mondo Mer 10 agosto 2022

Le Borse all’appuntamento decisivo, ora sperano nella discesa dell’inflazione Usa

Ma il vero appuntamento è quello di oggi quando verrà fornita la lettura sul dato dell'inflazione di luglio negli Stati Uniti. Le Borse all’appuntamento decisivo, ora sperano nella discesa dell’inflazione Usa
Nino Sunseri
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Nino Sunseri

Giornalista economico finanziario da oltre 50 anni, ha cominciato nel 1974 al Giornale di Sicilia. Ha lavorato rivestendo ruoli di caposervizio e inviato per il Corriere della Sera, La Repubblica e Libero.

L’inflazione Usa

Come spesso accade, il mese di agosto anche quest’anno, potrebbe riservare importanti sorprese. Ieri la giornata era cominciata bene ma poi le paure hanno ripreso il sopravvento visto che la Russia ha nuovamente ridotto le forniture verso l’Europa come ritorsione alle misure di razionamento approvato dalla commissione di Bruxelles. I riflessi non si sono fatti attendere. Il prezzo del petrolio è tornato a pizzicare la soglia dei 100 dollari che aveva perso oltre un mese fa.

La battaglia dei chip

Inoltre il varo del Chip and Science Act da parte del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, con un programma di sovvenzioni da 52 miliardi di dollari per potenziare la produzione domestica di semiconduttori, non scalda gli investitori. Il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici, verso la metà della seduta segna -1,4%, condizionato dalle comunicazioni di Micron, azienda leader del settore dei chip, che ha rivisto al ribasso le previsioni su entrate ed utili, a causa di un calo delle spedizioni.

Ma il vero appuntamento è quello di oggi quando verrà fornita la lettura sul dato dell’inflazione di luglio negli Stati Uniti. Il risultato offrirà agli investitori maggiori chiarimenti sulle prossime mosse della Fed, in occasione della riunione di settembre. I mercati scontano un aumento di 0,75 punti che sarebbe il terzo consecutivo della medesima entità. Secondo le stime di Dow Jones l’inflazione dovrebbe scendere all’8,7% dal 9,1% a giugno, valore massimo da 40 anni. Nonostante ciò Michelle Bowman, membro della Fed, tra i maggiori sostenitori dell’aumento dei tassi di 75 punti del mese scorso, ha dichiarato che «aumenti di dimensioni analoghe dovrebbero essere previsti fino a quando non vedremo l’inflazione diminuire in modo consistente, significativo e duraturo».

L’impennata dell’occupazione Usa della scorsa settimana, con 528 mila posti di lavoro creati, a fronte di un tasso di disoccupazione appena al 3,5%, evidenzia quanto sia forte il mercato del lavoro statunitense. Il chief economist di Columbia Threadneedle Investments, Steven Bell, sostiene che tali pressioni non possano essere rallentate senza una contrazione dell’economia. «Ciò significa che la Fed dovrà probabilmente continuare ad alzare i tassi fino a quando la recessione non sarà imminente; e data la solidità di fondo dell’economia statunitense, mi aspetto che i tassi d’interesse negli States salgano di molto perché, a mio avviso, hanno avviato troppo tardi la stretta monetaria».

Si tratta dell’accusa ormai ricorrente alle banche centrali che, fino a novembre hanno girato la testa dall’altra parte perchè non bisognava fermare la ripresa post-Covid. Poi improvvisamente si sono accorte che la corsa dei prezzi stava sfuggendo di mano e ora cercano di agire con prudenza per evitare che la lotta al carovita blocchi l’economia. Il mercato vede un aumento dello 0,2% su base mensile nettamente inferiore all’1,3% mese registrato a giugno.

Le notizie sull’inflazione

Per quanto riguarda le altre notizie sull’inflazione, venerdì saranno pubblicati i dati preliminari dell’indagine sui consumatori dell’Università del Michigan per il mese di agosto. Come di consueto, l’attenzione si concentrerà su eventuali cambiamenti nelle aspettative a lungo termine. L’indebolimento dei prezzi delle materie prime sarà evidente anche nei dati sul commercio e sui prezzi alla produzione pubblicati nel corso della settimana.  Un altro trimestre di contrazione dell’economia fa presagire una probabile debolezza del rapporto sulla produttività per il secondo trimestre.

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